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Archive for 28 dicembre 2014

Erinni giustiziere-vendicatrici contro le concezioni maschiliste

Silvana Grasso

Silvana Grasso

Silvana Grasso

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«Fuori di qui! Sgomberate il tempio se non volete che vi colpisca con un mio alato bianco serpe vibrato dall’aurea corda dell’arco, se non volete nel dolore vomitare a grumi, a fiotti di nera schiuma, il sangue che avete succhiato agli uomini uccisi. A voi non è lecito avvicinare questa dimora» (Eschilo, Eumenidi).

A chi con tale durezza di minaccia rivolge l’ordine di sgombero dal suo tempio il dio Apollo? Chi assedia il suo tempio, la sua sacra dimora, chi minaccia il suo ospite Oreste, figlio d’ Agamennone e Clitemnestra?

eriSono le Erinni destinatarie dello sfratto, semidivinità della vendetta, ctonie primitive nel pantheon ellenico, nate da gocce di sangue e sperma, cadute su Gaia, La Terra, quando Crono mutilò il padre Urano. Giustiziere vendicatrici dei crimini, soprattutto dei crimini di sangue parentale, quale il parricidio. Non nel tempio d’Apollo possono aver sede, ma «là dove tagliano le teste, dove strappano gli occhi, dove sgozzano, là dove si vedono mutilazioni e lapidazioni, là dove si odono mugghi e gemiti di gente trafitta…» (Ibidem).

Le Eumenidi sono l’ultimo “atto” dell’unica trilogia superstite della Tragedia greca. Assieme all'”Agamennone” e “Le Coefore”, “atto” primo e secondo della trilogia, saranno solo tra poche settimane rappresentate a Siracusa, nel teatro greco. A ragione diciamo “atto”, perché la trilogia, scritta in tre drammi, è di fatto argomento unico nella fabula-mito che racconta, seppure scandita in tempi e/o generazioni diverse.
Dalla morte del grande dux-wanax, atride Agamennone (“Agamennone”), ucciso dalla moglie Clitemnestra, subito dopo il trionfale ritorno ad Argo da Troia, al matricidio perpetrato da Oreste (“Coefore”), figlio d’entrambi, al processo del giovane e alla sua assoluzione, grazie al “fatale” voto d’ Atena che, nata solo da padre, non conosce dolcezza d’utero né amor di madre (“Eumenidi”).

Torniamo alle Eumenidi, cioè alle terribili implacabili Erinni che, alla fine della tragedia, per indiscussa volontà d’ Atena, dea ex machina della tragedia, diventeranno «di buon animo», benevole, da implacabili e funeste che furono.
Allo sfratto da parte d’ Apollo segue una interessantissima sticomitia tra il coro, rappresentato dalle Erinni, nella persona della corifea, e il dio.
Le Erinni accusano Apollo d’essere responsabile del delitto di Agamennone, di cui è esecutore il figlio Oreste: «del delitto di Oreste non basta dire che sei complice: tu solo ne fosti l’autore, tu solo ne sei responsabile… col tuo vaticinio gli ordinasti di uccidere sua madre». A loro Apollo risponde «col mio vaticinio gli dissi vai a vendicare tuo padre» (Ibidem).

In apparenza, per chi non conoscesse le sfumature al vetriolo, i sottintesi, del concetto di hybris e di colpevole-innocenza del “tragico” greco, ad una lettura contemporanea, ignara del dedalo di significanti e significati, le Erinni ed Apollo stanno pleonasticamente ribadendo lo stesso concetto.
Ma una lettura testuale e, soprattutto, contestuale ci conduce ad un’ipotesi tragica, quanto immorale. L’ ipotesi è che non ci sia altro modo che uccidere la madre per quella vindicatio patris, imperata da Apollo.
LaIMO2101B2120140413CTE il figlio, il ragazzo Oreste? Per essere in regola con l’imperio del dio Apollo, vendicando il padre, deve uccidere sua madre, restando orfano due volte, di padre e madre. Sembra un assurdo teatrale, invece è un perfetto “logico” sociale, ai tempi cui si riferisce la tragedia, il V secolo a. C.!

Lasciare invendicato il padre “assolvendo”, sia pur per amor di figlio, la madre, comporterebbe lo scellerato principio che l’auctoritas del pater familias, comunque del maschio, e ancor più del patriarcato, possano impunemente cedere alla femmina, ma ancor più al matriarcato: «Non è la stessa cosa che muoia un uomo nobile, onorato di scettro che Zeus gli diede e tanto più per mano di donna, non da ostili dardi… tornato dalla spedizione, dopo aver compiuto tante gesta nel modo migliore, lei lo accolse con benigne parole, gli preparò il bagno nella vasca… alla fine lo colpì dopo averlo irretito in un bel peplo. Questa la morte dell’ eroe da tutti venerato» (Ibidem).

Il mito, nella tragedia, ha valore di megafono sociale, tutti sapranno che non impunemente una donna uccide lo sposo, che l’hybris del matriarcato verrà punita nel modo peggiore. Dalla mano d’ un figlio. Un delitto da madre a figlio. Se turpe è alla nostra coscienza cattolica l’ uxoricidio, ancor più lo è il matricidio, che, invece, nella coscienza laica e suddita della societas greca, cui paideuticamente si rivolge il “Teatro”, per fabule e miti, viene consacrato come atto dovuto a tutela dell’ordinamento e dell’ordine sociale. Un ordinamento sociale che non ammette deroghe al principio di patriarcalità e di cui il “teatro” diventa uno strumento formidabile di risonanza sociale.

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Il medico di Emergency racconta la sua esperienza:

“Sono solo un soldato ferito nella lotta contro un nemico spietato”

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ebolaOrmai fuori pericolo il medico italiano di Emergency ha deciso di raccontare la sua esperienza in una lettera diffusa dall’Ong di Gino Strada. Eccola:

“L’ultima cosa che ricordo della Sierra Leone è il viaggio fino all’aeroporto assieme ai colleghi e la partenza sull’aereo dell’Aeronautica Militare. Poi l’arrivo in Italia all’interno di un contenitore ermetico e il trasporto all’Istituto Spallanzani. Ricordo i primi due o tre giorni trascorsi in isolamento, i farmaci sperimentali che ho iniziato, l’estremo malessere, la nausea, il vomito, l’irrequietezza; pensavo in quei momenti ai pazienti che avevo contribuito a curare, stavo provando le stesse cose che loro avevano provato e cercavo di capire qualcosa di più di ciò che mi stava succedendo, cercavo di mantenere la mente lucida e distaccata per un’analisi “scientifica”. Ma il malessere era troppo e troppo difficile restare concentrato. Poi la trasfusione di plasma cui credo sia seguita una reazione trasfusionale e la luce della coscienza che grossomodo si spegne.

Mi hanno raccontato di essere stato in rianimazione, di essere stato intubato e sedato; so di avere firmato una serie di consensi per i protocolli sperimentali poi, dopo questo, non ho memoria di nulla, mi mancano due settimane, quelle del mio aggravamento, durante le quali mi sono in qualche modo battuto contro il mio nemico; e pare che sia riuscito a batterlo.
ebDa qualche giorno sto meglio, lentamente ho ripreso in mano il controllo del mio corpo, riesco a muovermi in autonomia; da qualche giorno ho iniziato a leggere qualcosa di ciò che è stato pubblicato a proposito della mia vicenda; in larga misura parole di conforto, di sostegno e augurali ma anche parole che possono essere giustificate solo dall’ignoranza.

Non credo di essere un “eroe” ma so per certo di non essere un “untore”: sono solo un soldato che si è ferito nella lotta contro un nemico spietato. Una delle cose più belle che ho letto in questi giorni è un articolo online che parla di solidarietà, di rispetto, di dignità. E non posso non pensare ai miei colleghi di Emergency che, anche in questi giorni, sono in Sierra Leone cercando di fare sempre di più e sempre meglio per curare i malati di Ebola.

Ebola è un mostro terribile e temibile ma sono convinto che la sconfitta di questo mostro dipenda in larga misura dal fronte che lo ostacola. Spero che questo fronte possa allargarsi e opporsi a Ebola in modo sempre più efficace.

Fonte: quotidianosanita.it

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nunzio vitellaro

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In gita scolastica a 13 anni, in 7 tornano incinte

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13È polemica nazionale, in Bosnia, su un surreale ma non sottovalutabile “incidente” che ha visto coinvolte 7 ragazze tra i 13 e i 15 anni, tornate in stato di gravidanza dopo una gita scolastica a Sarajevo.

Il gruppo di studenti, accompagnato dagli insegnanti, era partito da Banja Luka alla volta della capitale, composto da 28 alunni. Dopo 5 giorni di permanenza la scolaresca ha fatto ritorno nella cittadina di provenienza, ma ben 7 studentesse non si sono presentate a scuola poiché incinte.

Un incidente che ha scatenato – neanche a dirlo – l’ira dei genitori, che hanno immediatamente riversato il loro disappunto sugli insegnanti e gli accompagnatori che guidavano la gita, ritenendoli responsabili dell’accaduto per non aver sufficientemente vigilato sulle figlie in trasferta.

Ma, al di là delle contingenze del singolo caso, che pure risulta molto eclatante dato il numero delle ragazze coinvolte, la questione è immediatamente salita agli onori della cronaca nazionale bosniaca. Incidenti come questo, che vedono protagonista una sessualità precoce, non si presentano infatti in Bosnia per la prima volta; negli ultimi anni il numero dei pre-adolescenti sessualmente attivi, proprio nella fascia qui interessata dei 13-15 anni, è salito in modo considerevole, con 31 minorenni rimaste incinte nella sola Sarajevo nel 2013.

In particolare la ginecologa Senad Mehmedbasic, che esercita a Sarajevo, ha sottolineato la necessità di un immediato piano di educazione sessuale per i giovani bosniaci, molto precoci sessualmente ma del tutto disinformati riguardo al sesso, ai suoi rischi e alle sue conseguenze.

“Contiamo in misura sempre maggiore i minorenni che iniziano ad avere rapporti sessuali all’età di 13 o 14 anni”, conferma poi dalla sua Nenad Babici, il Coordinatore nazionale per la salute riproduttiva della Repubblica serba. Che tuttavia, sullo specifico caso delle ragazzine rimaste incinte durante la gita scolastica, difende gli insegnanti dalle accuse dei genitori: “la negligenza”, dice, “è semmai la loro”, che non hanno fornito alle figlie una sufficiente educazione sessuale.

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Panzate di Natale

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ty«Tortura, utopistico abolirla»

Calogero Chinnici

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A proposito della tortura, è almeno dal Settecento che se ne auspica l’abolizione, soprattutto per opera dei filosofi illuministi.

Tuttavia sono convinto che essa non potrà mai essere eliminata del tutto, dato che nessuno Stato, in una situazione di estremo pericolo, rinuncerebbe a ricorrervi, dato che, da sempre, sono i fini da raggiungere che determinano i mezzi da impiegare, a prescindere da remore di carattere morale.

Il resto è retorica.

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Interact «Una fetta di beneficenza» a Mussomeli

Roberto Mistretta

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Alcuni giovani dell´Interact Club di Mussomeli

Alcuni giovani dell´Interact Club di Mussomeli

“Una fetta di beneficenza”, questa l’iniziativa giunta alla quinta edizione, organizzata dai ragazzi dell’Interact Club di Mussomeli-Valle del Platani presieduto da Alessio Zagarella. Una raccolta di fondi da destinare in beneficenza grazie all’impegno ed allo spirito solidale dei ragazzi che hanno allestito uno stand offrendo ai tanti passanti che in questi giorni prenatalizi erano in strada per recarsi al mercato settimanale, una fetta delle innumerevoli torte casalinghe e buonissime (fatte in casa insomma, grazie all’aiuto di mamme e zie che si sono prestate di buon grado all’iniziativa), in cambio di un contributo.
Tale contributo è destinato all’acquisto di un defibrillatore portatile da destinare ad una squadra di calcio del Mussomeli. Ai giovanissimi soci hanno dato una mano anche i soci “più anziani” del Rotaract Club, presieduto da Giulia Territo.
E questi ragazzi impegnati nel sociale, ringraziano oltre a tutti coloro che hanno contribuito col loro acquisto solidale al progetto, anche i dipendenti comunali, quelli dell’Ufficio dell’ Entrate e delle Poste Italiane, nonché la BCC “San Giuseppe” e Dario Ferreri, che hanno messo a disposizione tavoli e sedie.
Un valido contributo l’ha dato anche il presidente del Rotary Club, Gero Ferlisi, che s’è impegnato a formare gli interessati all’utilizzo del defibrillatore.
Grande soddisfazione è stata espressa dal giovanissimo presidente dell’Interact per la generosità mostrata dalla gente di Mussomeli e non solo.

Addio all’ufficio del Giudice di pace tra tanti rimpianti

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gp“Mi hanno riferito che il 18 dicembre è stato firmato il decreto di chiusura degli uffici del Giudice di pace di Mussomeli. Si attende la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale. Dobbiamo complimentarci con gli amministratori comunali che continuano ad impegnarsi nell’interesse della collettività”. Questo il sarcastico commento dell’avvocato Amedeo Cumella alla notizia della prossima soppressione dell’ufficio del Giudice di pace.

C’è da dire che ogni “pezzo” di servizio pubblico che si perde, è una sconfitta non solo per Mussomeli, pomposamente definita la capitale del Vallone ma per tutto il territorio e per chi ci vive, e soprattutto per la politica, incapace di difendere tali presidi in un territorio povero di tutto.
Tante chiacchiere, insomma, e poca sostanza.
E dopo l’ufficio del Giudice di pace cosa sarà dismesso? In predicato c’è l’Ufficio delle Entrate, ma anche l’ospedale è stato a rischio. E mentre in altri comuni come ad esempio Acquaviva Platani perfino la caserma dei carabinieri è a rischio chiusura, tant’è che l’amministrazione comunale s’è impegnata a reperire a sue spese idonei locali pur di non perdere il presidio dell’Arma nel suo territorio, a Mussomeli non s’è riuscito a fare altrettanto per difendere con i denti gli uffici del Giudice di pace che arrecavano non solo prestigio, ma creavano anche un notevole indotto economico per la presenza di avvocati provenienti dal circondario e dei loro assistiti che al Giudice di Mussomeli si rivolgevano.
Adesso anche per contestare una banale multa, bisognerà rivolgersi al Giudice di pace di Caltanissetta, con costi triplicati e non poco dispendio di tempo.
Sia chiaro, qui non si vuole fare il processo al sindaco di Mussomeli, Calà, che in verità insieme al sindaco Caruso di Acquaviva avevano individuato il personale per tale ufficio e i locali dove ospitarlo. Né vogliamo fare il processo agli altri sindaci del territorio che dopo avere dato piena disponibilità a co-gestire i costi vivi (affitto, acqua, luce, riscaldamenti, telefonia), hanno fatto marcia indietro per i problemi di bilancio che attanagliano i loro enti.
Non è questa la sede per fare processi. Ciò non toglie che vedere sfumare nell’indifferenza generale della politica, la possibilità di mantenere tale ufficio dopo che faticosamente s’era trovata la soluzione per non farlo chiudere, è una sconfitta che brucia e stringe il cuore per il futuro mesto che attende questo spicchio di provincia di frontiera da tutti dimenticata. Possibile che non s’è capaci di uno scatto di orgoglio e responsabilità?

Due operai di Mussomeli sorpresi con droga in auto

Carmelo Ricotta

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ripiNell’ambito di una serie di servizi di controllo del territorio effettuati dai Carabinieri del Nucleo Radiomobile di Lercara Friddi, in occasione del Natale, sulla Ss 189 i militari fermavano e controllavano l’autovettura Chevrolet Matiz condotta da Carmelo Ricotta, 29 anni di Mussomeli, operaio, con a bordo Salvatore Piazza, 31 anni, nato a Mussomeli e residente ad Albenga (SV), carpentiere, entrambi conosciuti dalle forze dell’ordine.
A seguito di perquisizione personale e veicolare, i militari rinvenivano nella loro disponibilità 200 grammi di sostanza stupefacente, verosimilmente del tipo”hashish”, che veniva sottoposta a sequestro.
I due arrestati venivano pertanto tratti in arresto, tradotti presso il Tribunale di Termini Imerese per il giudizio direttissimo. Per entrambi dopo la convalida, sono stati richiesti dai loro legali i termini a difesa, e l’udienza è stata fissata per il prossimo 21 gennaio. Carmelo Ricotta è stato rimesso in libertà, mentre per Salvatore Piazza è stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari.

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La Corte d’appello riduce la condanna a Schillaci

V.P.

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askUna condanna ridotta da 7 a 5 anni ed una a 6 anni confermata.

Ma anche in appello il boss mafioso campofranchese Angelo Schillaci e il favarese Vincenzo Parello, ritenuto un esponente della cosca mafiosa del suo paese, sono stati ritenuti colpevoli delle richieste di pizzo a Giuseppe Pullara, titolare dell’impresa “Gruppo Asfalti”.
L’unica differenza è che a Schillaci la seconda sezione penale della Corte d’Appello (presidente Sergio Nicastro, consiglieri Miriam D’Amore e Giovanni Tomaselli) ha ridotto da 7 a 5 anni la pena applicando – così come aveva fatto il gup in primo grado – la continuazione con la condanna definitiva a 12 anni per associazione mafiosa già inflittagli nel processo “Itaca-Bobcat”.
Parello si è invece visto confermare la pena di 6 anni; entrambi avevano scelto di essere processati con il rito abbreviato.
Ha dunque retto la tesi accusatoria sostenuta dal sostituto procuratore generale Fernando Asaro, che aveva chiesto la conferma integrale della sentenza di primo grado.

Gli avvocati difensori Danilo Tipo e Lillo Fiorello hanno chiesto l’assoluzione dei loro assistiti, sostenendo l’assenza di riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, soprattutto Maurizio Carrubba, ex affiliato mafioso di Campofranco che ha deciso di saltare il fosso.
Secondo l’accusa le cosche mafiose del nisseno e dell’agrigentino avrebbero stretto un’alleanza ed insieme avrebbero pianificato le estorsioni alla “Gruppo Asfalti”, chiedendo a Pullara 20 mila euro di “pizzo” per dei lavori che l’impresa stava realizzando tra la provincia nissena e quella agrigentina.

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Penne USB con vari personaggi

Le chiavette USB non sono mai abbastanza, soprattutto quando si tratta di pendrive che ricordano i personaggi più amati di film e cartoni animati come questo.

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Costo: a partire da 10 euro – Guardala qui.

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Corteo sul Canal Grande

Nell’immagine la barca con a bordo George Clooney e la moglie Amal Alamuddin, circondati dai giornalisti e da altre imbarcazioni di sicurezza durante la navigazione sul Canal Grande.

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George Clooney ha poi sposato l’avvocato dei diritti umani Amal Alamuddin. (AP Photo / Luigi Costantini)

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