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Archive for the ‘Storia’ Category

Scontri tra tifosi campani nel ’59 di 2.000 anni fa

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Nel 59 ⁸d.C. si concluse con un terribile massacro una zuffa scoppiata per futili motivi fra i coloni Nucerini e Pompeiani che assistevano allo spettacolo di gladiatori organizzato da Livenio Regolo. Cominciò tutto per quell’intemperanza che è tipica dei provinciali: essi si scambiarono dapprima insulti grossolani, poi passarono ai sassi, quindi ai pugnali, con netta prevalenza della plebe di Pompei, ove si svolgeva lo spettacolo.
Molti Nucerini furono riportati in patria col corpo mutilato dalle ferite; molti lamentavano la morte dei figli o dei genitori.
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L’indagine giudiziaria venne affidata dal principe al senato, dal senato ai consoli. Questi la deferirono nuovamente ai senatori, i quali vietarono ai Pompeiani consimili riunioni per la durata di dieci anni e sciolsero tutte le associazioni illegalmente costituite. Livineio e gli altri responsabili dei disordini furono puniti con l’esilio. Sembra però che la squalifica in seguito venne notevolmente ridotta.
Del resto Giovenale, con il suo abituale sarcasmo, inquadrava alla perfezione la passività del popolo, autoesclusosi dalla vita politica dopo averla deliberatamente consegnata nelle salde mani dell’imperatore e della sua corte di alti burocrati: «Già da un pezzo, da quando non usiamo più vendere i voti, il popolo non si preoccupa più di nulla; una volta distribuiva comandi, fasci e legioni, tutto. Ora se ne infischia e due cose soltanto desidera ansiosamente: pane e giochi».
Con questa arguta politica di «distrazione di massa» il desiderio di ribellione della plebe svanì, e con lo stomaco pieno e la mente assuefatta ai giochi chi avrebbe desiderato una rivoluzione?
Cui prodest sovvertire lo status quo?
Tratto dal libro: “Passioni e divertimenti nella Roma Antica”. Fonte storica: Tacito, Annali Libro XIV – XVII
Immagine: Affresco presso il Museo Archeologico di Napoli
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Ecco come doveva apparire il Foro Romano davanti ai cittadini romani dell’epoca

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Monumentale!

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La Gabbara

La Gabbara di San Cataldo sul Tg2

Gioacchino Comparato

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SPIEGATO PUNTO PER PUNTO IL PROGRAMMA ELETTORALE DEL SINDACO E DELLA LISTA “PER UNA MILENA MIGLIORE” VISIBILE ANCHE SU FACEBOOK

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IN POCHE ORE SUPERATE LE 1000 VISUALIZZAZIONI – PIU’ SI E’ INFORMATI PIU’ E’ FACILE VOTARE

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La Leggenda del Vello d’Oro e le case-torri del Caucaso

Quando il Destino Diventa Fato

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L’area del Caucaso nasconde paesaggi e ambienti molto particolari, qui alcune popolazioni hanno mantenuto abitudini uniche e antichissime.
Nella Svanezia, una regione storica della Georgia, il paesaggio è dominato da alte montagne e profonde valli. Questi luoghi poco conosciuti nascondono tesori dell’architettura come le case-torri. In questi paesaggi montani i villaggi possiedono torri costruite nel Medioevo. Qui ancora vive una popolazione georgiana formata da circa 15.000 persone che parlano una lingua, ormai in via di estinzione, lo svan. Le torri svettano in questi minuscoli villaggi.
Nel villaggio di Ushguli sono numerosissime le torri medievali, situate sullo sfondo di prati alpini, al di sopra la grande vetta del monte Shkhara s’eleva all’altezza di 5.068 m.
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Gli Svan hanno una loro lingua, proprie leggi, coltivano usi e costumi antichi di millenni. Una cultura vergine e ricca di rituali, tra cui la venerazione degli spiriti, il culto della fertilitа, del lupo e del toro, della poetica musa Dali dai capelli dorati.
In queste regioni nasce la leggenda del vello d’oro, che deriva da una tradizione locale. Le genti cercavano le pagliuzze d’oro nei fiumi e si servivano delle pelli di pecora per trattenere i preziosi sedimenti, così le pelli di pecora divenivano d’oro.
Le case-torri riempiono intere vallate, sono composte da 4-5 piani e nascevano appunto a scopo difensivo contro gli stranierei e per le lotte interne tra le famiglie del villaggio. L’ingresso alla torre si trova al secondo piano e vi si accedeva tramite una scala a pioli removibile, non avevano finestre ma solo pertugi. Gli abitanti potevano rifugiarsi in queste torri anche per lunghi periodi

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SOLUNTO bellissima e antichissima Città Ellenistica con un panorama spettacolare!!

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Solunto è un’antica città ellenistica che sorge sul Monte Catalfano, di fronte Capo Zafferano, negli immediati pressi di Palermo. Secondo Tucidide era questa una delle principali città fenicie di Sicilia, insieme a Mozia e a Palermo, ma dell’abitato fenicio sono rimaste poche tracce. Ben visibili sono invece i resti della città greca.

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Le più antiche notizie le abbiamo da Tucidide, secondo il quale questo tratto di promontorio sarebbe stato occupato dai Fenici al momento della prima colonizzazione greca. La città fu conquistata da Dioniso I di Siracusa durante la guerra contro i Cartaginesi e probabilmente il centro abitato fu saccheggiato e distrutto.

La città venne quindi interamente ricostruita sul Monte Catalfano e qui si insediarono un gruppo di mercenari greci. Importante è infatti la presenza di un nucleo ellenico nella città, riconoscibile per le decorazioni, le costruzioni e la presenza di iscrizioni in greco. La città passa sotto il dominio dei Romani nel 254 a.C. durante la Prima Guerra punica. Sai ritrovamenti archeologici si tende a pensare che il centro di Solunto fosse già in decadenza nel I secolo d.C. e che sia stato abbandonato completamente poco più tardi.

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Sebbene la città di Solunto venga indicata da Tucidide come una delle principali città fenicie, dell’abitato punico sul promontorio di Solunto restano ormai scarse tracce dovute soprattutto alla recente crescita edilizia. Ritroviamo una necropoli con sepoltura a camera nei pressi della stazione ferroviaria di Santa Flavia, un quartiere industriale con fornaci, un tofet e una sepoltura ipogea con dromos nei pressi della località Olivella. Sono stati rinvenuti anche parecchi materiali ceramici, fra i quali anche un kantharos di bucchero e alcune anfore puniche di diversa forma.

Sono invece ben visibili i resti della città greca. Il percorso infatti si snoda su un impianto regolare di tipo greco, le strade si diramano ai lati di una larga strada principale lastricata che attraversa tutta l’area giungendo all’agorà e alla zona pubblica.

Ai lati le vie secondarie delimitano isolati rettangolari disposti su terrazzamenti creati appositamente per superare i dislivelli naturali. L’architettura domestica si presenta di notevole interesse con case organizzate su più piani e ambienti distribuiti intorno a peristili. La Casa di Leda in particolare merita attenzione per la sua ampiezza e i pavimenti in opus signinum e mosaico.

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L’agorà è delimitata da una cisterna pubblica di fronte alla quale è posizionato un complesso termale con pavimenti a mosaico. Dalla piazza poi è possibile accedere direttamente al teatro, decorato con cariatidi e che poteva contare su una capienza di 1200 spettatori. È interessante inoltre notare come molti degli edifici a carattere sacro lascino trapelare l’origine fenicio-punica della popolazione.

Infine nell’Antiquarium è possibile visionare la maggior parte dei reperti, nel padiglione A vengono presentati i temi connessi all’urbanistica e all’architettura pubblica e domestica, mentre nel padiglione B potrete trovare tutta la documentazione prodotta dai nuovi scavi e alla cultura materiale della città dal periodo punico sino all’epoca romano-imperiale.

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9 Maggio 1978: i destini incrociati di Aldo Moro e Peppino Impastato

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LA TRAGICA SORTE DI ALDO MORO.

moroIl nove maggio di 45 anni fa l’Italia assisteva attonita a due tragedie che cambiarono per sempre la storia del nostro Paese: il ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro e l’uccisione del giornalista Peppino Impastato per mano della mafia siciliana.

Due vite diverse, due facce di un Paese in grande subbuglio, due tragedie che si sono intrecciate nello stesso giorno e che hanno lasciato una segno indelebile nella coscienza di tutti gli italiani.

Il 9 maggio 1978 è stata una data fatidica per la Storia del nostro Paese: la mattina di quel giorno infatti, all’interno di una Renault 4 rossa parcheggiata in Via Caetani a Roma, le forze di polizia ritrovavano il corpo senza vita del politico Aldo Moro, rapito 55 giorni prima dal gruppo terroristico delle Brigate Rosse (BR).

Moro era il Presidente della Democrazia Cristiana (DC), il più grande partito politico dell’epoca, e la sua morte creò grande sgomento in tutta la Nazione. Ma non era ancora finita…

LA TRAGICA SORTE DI PEPPINO IMPASTATO

peppinoradioQualche ora prima infatti, nella notte tra l’8 ed il 9 maggio, perdeva la vita anche il giornalista Peppino Impastato, nome molto meno noto al grande pubblico, ma che proprio dal momento della sua tragica fine divenne una dei simboli nella lotta contro le mafie.

Impastato infatti era un attivista siciliano che fu tra i primi a denunciare il sistema tentacolare del crimine organizzato palermitano.

Proprio per questa “grave colpa” gli uomini di Cosa Nostra decisero di rapirlo, ammazzarlo e di mettere in piedi una messinscena per gettare discredito sulla sua persona.

Il corpo di Peppino, o quello che ne rimaneva, fu infatti imbottito di tritolo dai suoi assassini per far pensare ad un attacco terroristico suicida. Fortunatamente, il lavoro instancabile della madre di Peppino, Felicia, e del fratello Giovanni, fece venire a galla la verità.

Da quel giorno di quarant’anni fa, i nomi di Aldo Moro e Peppino Impastato continuano ad essere ricordati affinché il loro sacrifico non sia stato vano.

L’ANATEMA DI PAPA GIOVANNI PAOLO CONTRO I MAFIOSI

PAP“Convertitevi”: 25 anni fa il grido di Giovanni Paolo II contro la mafia che 25 anni fa, il 9 maggio 1993, al termine dell’omelia della messa celebrata nella Valle dei Templi, lanciò un duro anatema contro la mafia.

Le parole di Giovanni Paolo II contro i mafiosi, espressione della “cultura della morte”, vennero spontanee dal cuore. Nella Valle dei Templi, il 9 maggio 1993, il Papa santo si lasciò ispirare da quella folla che in Lui vedeva speranza perché riflesso della luce di Dio. Aggrappato al Crocifisso, unico balsamo per sanare le ferite di vite spezzate dalla mafia, Wojtyla tuonò contro i trafficanti di morte.

Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si permette uccidere innocenti! Dio ha detto una volta: “Non uccidere”: non può uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio!  Qui ci vuole civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo, crocifisso e risorto, di questo Cristo che è vita, via verità e vita, lo dico ai responsabili, lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!

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…poi abbatte Remo nel primo derby laziale.

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Guerra greco-turca, 1897

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Cognomi italiani d’origine greca

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Importanza straordinaria per la formazione dei cognomi meridionali specie in Calabria fu il contributo greco in seguito al lungo perdurare della lingua greca in queste terre.
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In ordine alfabetico:
Alampi (risplendente), Amendolia (mandorlo), Amuso (grossolano, rozzo), Andidero (dono in contraccambio), Anghelone (messaggero), Arcudi (piccolo orso), Argurio (moneta d’argento), Attinà (pettinaio), Azzarà (pescatore);
Bambace (cotone), Barillà (bottaio), Buccafurri (bocca di forno);
Caccamo (grande caldaia dei pastori), Caliciuri (buon signore), Calogero (monaco), Calanna (buona Anna), Calù (buono), Camini (fornace), Cananzi (il prediletto), Cannatà (fabbricatore di vasi di creta), Cannavò (grigio), Cannistrà (fabbricatore di canestri), Cardìa (cuore), Caridi (noce), Cartellà (chi fa o vende ceste), Cartolaro (funzionario addetto all’ufficio del catasto), Catona (tenda), Catricalà (sorta di trappola per uccelli), Ceraso (ciliegia), Chiofalo (testardo), Chilà (uomo dalle grosse labbra), Chinigò (cacciatore), Chiriaco (del signore), Chiriatti (signor sarto), Chiricò (clericale), Cilea (ventre), Codispoti (signore di casa), Comerci (imposta, dogana), Comi (alto funzionario bizantino), Condò (corto), Crea (carne), Crisafi (oro), Crisafulli (oro), Criserà (chi fa o vende setacci), Crupi (tosato), Cundari (corto), Curatola (capo dei mandriani), Curìa (barbiere); Curmaci (tronco), Cutellà (chi fa cucchiai), Cuzzocrea (di carne mozza);
Dascola (maestro), Dattola (dito);
Facciolà (chi fa o vende fazzoletti da capo), Fagà (chi mangia molto), Falcomatà (calderaio), Fallà (bosco di sugheri), Fantò (visibile), Farace (incisione), Fascì (fascio), Filastò (amuleto), Filocalo (amante del bello), Floccari (chioccia), Foti (luce), Fotia (fuoco), Frega (pozzo), Furnari (fornaio);
Galatà (lattaio), Galipò (difficile); Gerace (sparviero);
Jerinò (gru);
Lacaria (albero di noce), Laganà (venditore di ortaggio), Lagano (cavolo), Lanatà (chi vende pelli di animali), Lardì (lardo), Lauria (piccoli cenobi), Leandro (santo), Liano (minuto, magro), Licari (lupo), Lico (lupo), Logoteta (amministratore), Lojero (vecchio);
Macrì (il lungo), Macellari (macellaio), Magaraci (grande ruscello), Malacrinò (bruno), Mallamace (oro), Mallamo (oro), Mammì (levatrice), Managò (monaco), Mandaglio (piccolo chiavistello), Manglaviti (ufficiale bizantino in funzione di guardia del corpo), Manti (indovino), Marafioti (luogo di finocchi), Megale (grande), Melìa (frassino), Melissari (apicultore), Messineo (di Messina), Mezzòtero (il maggiore), Miraglia (ammiraglio), Mirarchi (alto grado militare, generale), Monorchio (con un solo testicolo), Musicò (musicale);
Natoli (orientale), Nisticò (digiuno);
Ollìo (ghiro);
Pachì (grasso), Palamara (gomena), Pangallo (molto buono), Papalia (prete Elia), Papasidero (prete Isidoro), Pedace (bambino), Pedullà (farfalla), Pellicanò (picchio verde), Pennestrì (segatore), Piria (pettirosso), Piromalli (chi ha i capelli rossi), Piscopo (vescovo), Pitasi (cappello), Polifroni (di molti anni), Politanò (della città), Politi (cittadino), Praticò (attivo), Pristerà (luogo di colombi), Privitera (prete), Prochilo (manuale), Puja (vento di terra), Puterà (chi fabbrica bicchieri);
Rodano (rosso), Rodinò (rosso), Rodotà (pieno di rose), Romanò (romano), Romeo (di Roma), Rudi (melagrana);
Sbano (sbarbato), Scalì (gradino), Schimizzi (brutto), Schirò (duro), Scirtò (curvato), Scordo (aglio), Scutellà (chi fa scodelle), Sgro (dai capelli ricciuti), Sindona (lenzuolo), Sirti (tirabrace del forno), Sismo (terremoto), Sorgonà (fabbricante di grosse e alte ceste per tenervi il pane), Spanò (sbarbato), Spinà (cuneo), Straticò (capo militare);
Tambo (abbagliato), Trimarchi (capo di una squadra militare), Tripepi (degno di Dio), Tripodi (treppiede), Triveri (povero);
Villari (membro virile);
Zangari (calzolaio), Zema (brodo), Zerbi (mancino), Zimmaro (capretto), Z’inghinì (parente), Zuccalà (pentolaio).
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Sono assai frequenti alcuni suffissi greci che esprimono provenienza da un luogo. Abbiamo così:
– anò: Romanò, Serranò.
– eo: Cotroneo (di Crotone), Messineo (di Messina), Romeo (di Roma).
– itano: Jeracitano (di Gerace), Locritano (di Locri), Militano (di Melito (RC) o di Mileto (CZ) (?), Reitano (di Reggio), Riggitano (di Reggio), Tarsitano (di Tarsia), Votano (di Bova).
– oti: Chiaravalloti (di Chiaravalle), Geracioti (di Gerace), Liparoti (di Lipari), Squillacioti (di Squillace), Seminaroti (di Seminara).
– iti: Bruzzaniti (di Bruzzano), Catanzariti (di Catanzaro), Mammoliti (di Mammola), Palermiti (di Palermo), Taverniti (di Taverna).
 
Mentre queste desinenze esprimono, come detto, provenienza da un luogo il suffisso – à (con accentuazione tronca, in greco as) indica il mestiere di un antenato:
Barillà (fabbricante di barili), Cutellà (che fa cucchiai), Laganà (venditore di ortaggi), Scutellà (chi fa scodelle), Zuccalà (pentolaio)
Di non chiara origine greca sono invece i cognomi con desinenza in ari:
Cuppari, Gurnari, Licari, Muccari, Scullari, Siclari (fabbricante di secchie), Sclapari. Sembrano appartenere ad una grecità originale, autoctona ed indipendente.
 
 
 

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