I campofranchesi erano una famiglia mafiosa davvero “forte”
di Valerio Martines e Vincenzo Pane
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I campofranchesi erano una famiglia mafiosa davvero “forte”. Un dato che emerge dagli interrogatori del pentito agrigentino Maurizio Di Gati, un tempo capo della famiglia mafiosa di Racalmuto ed esponente di spicco della cupola agrigentina.
E’ il 18 luglio 2007 quando Di Gati viene interrogato dal sostituto procuratore Stefano Luciani: «Dopo l’arresto di Angelo Schillaci – afferma Di Gati – ci sono i suoi fratelli a gestire la provincia di Caltanissetta. Di Angelo Schillaci si parlava già dalla fine del 1992, quando Domenico Vaccaro fu latitante e i contatti con quest’ultimo li teneva proprio Angelo Schillaci».
«Anche Milena è nelle loro mani»
Secondo Di Gati i campofranchesi avrebbero comandato anche a Milena:
Hanno anche Milena nelle loro mani. Ricordo che quando venne ucciso il figlio di Francesco Randazzo abbiamo dato il paese in mano a quest’ultimo. Ciccio Randazzo ce l’aveva con un certo Peppe Tona per l’omicidio del figlio. Questo Tona l’ho conosciuto, così come un certo Sorce che non so chi è. Successivamente, però, appresi che l’omicidio di Salvatore Randazzo venne fatto della stessa famiglia di Campofranco perché questo Randazzo era un “ruba galline”. Andava a rubare “unni è ‘gghiè” senza guardare in faccia nessuno e quindi dava fastidio. Fino al 2006 il capo a Milena era Ciccio Randazzo, ma dietro c’erano i fratelli Schillaci.
Le dichiarazioni di Ignazio Gagliardo
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Sul ruolo dei campofranchesi nelle dinamiche mafiose della provincia nissena ha riferito qualcosa anche un altro collaboratore di giustizia agrigentino, Ignazio Gagliardo. «I fratelli Schillaci avevano preso in mano la provincia, a me lo disse uno di Milena. Questo fatto m venne riferito anche da Calogero Falcone mentre eravamo detenuti al carcere “Petrusa” di Agrigento».
«Il fratello di Angelo schillaci faceva da ambasciatore». C’è anche il nisseno Francesco Ercole Iacona detto “Ercolino”, fra i pentiti che parlano del ruolo dei fratelli Schillaci. «Ho conoscenza della famiglia mafiosa di Campofranco fino a tempi recenti. Ne faceva parte anche il fratello di Angelo Schillaci, non ricordo come si chiama, in qualità di “ambasciatore” del fratello. Me lo ha riferito proprio Angelo Schillaci nel carcere di Caltanissetta.
Secondo gli inquirenti, pur rimanendo in carcere, Schillaci avrebbe comunque mantenuto un certo “peso” all’interno di Cosa Nostra grazie alla complicità del fratello Alfredo, anche lui arrestato nel blitz “Grande Vallone”. Dalle intercettazioni emerge che Angelo Schillaci avrebbe dato istruzioni al fratello durante le visite in carcere e i due avrebbero pure parlato della tensione che c’era con i fratelli Modica, ovvero coloro che poi sarebbero riusciti a scalzarli dal vertice della famiglia mafiosa di Campofranco.
«La “Fazenda” dei Caltabellotta: luogo per ospitare latitanti». Secondo le dichiarazioni di collaboratori di giustizia quali Ciro Vara e Salvatore Ferraro il locale “La Fazenda” avrebbe ospitato latitanti e sarebbe servito come deposito di armi. Secondo il gip Lirio Conti, che ha redatto l’ordinanza di custodia cautelare, la vicinanza dei Caltabellotta agli ambienti mafiosi è un dato certo. «All’inizio degli anni novanta – afferma Ciro Vara – nella zona di Campofranco c’era la fazenda di proprietà di un certo Cosimo e lì vicino c’era pure una villa immersa nel verde dove trascorreva la latitanza Antonio Rinzivillo e dove alla presenza di Domenico Vaccaro, Francesco Tusa, Salvatore Fraterrigo e il sottoscritto venne affiliato Emanuele Nunzio Emmanuello. Lì ho conosciuto Francesco Rinzivillo». Salvatore Feraro conferma che nella villa trovò ospitalità Nunzio Emmanuello.
«Un solo affiliato a Sutera».
Singolare la posizione che fra le pagine della corposa ordinanza di custodia cautelare trova Antonino Calogero Grizzanti, ritenuto unico appartenente della famiglia mafiosa di Sutera. Una sorta di primato, insomma. Nino Grizzanti era stato coinvolto anni fa nella maxi retata antimafia “Leopardo”, ma la sua posizione venne archiviata nel 1995 perché alle “cantate” di Leonardo Messina non v’erano riscontri. Tant’è che lo stesso Narduzzu, in un interrogatorio del luglio 1992, dirà che «alla famiglia di Campofranco è aggregata, per così dire, la famiglia di Sutera dove opera un solo uomo d’onore, tale Grizzanti di cui non conosco il nome ma so essere figlio di Salvatore Grizzanti, quest’ultimo presentatomi in uno dei primi incontri tra uomini d’onore». Sullo spessore mafioso di Grizzanti figlio, una “verità” l’ha fornita anche il pentito riesino Lillo Giambarresi. «Non ho conosciuto il figlio, che è stato affiliato dopo la morte del padre. Informazione che ho appreso vivendo all’interna della “famiglia”». Anche Ciro Vara delinea i profili di Totò e Nino Grizzanti. «Questo Grizzanti – chiarisce il collaboratore riferendosi al figlio – era pure lui presente alla riunione provinciale di Serradifalco quando è stato nominato rappresentante provinciale Domenico Vaccaro… stiamo parlando del ’94, il padre era già sicuramente morto… e Grizzanti in quell’occasione mi ricordo che nella riunione si lamentava che le imprese lì non volevano pagare, cercava soldi…». Il summit di cui Vara parla risale al giugno del 2004.
Gli interrogatori. Al via, da giovedì e in due sessioni, gli interrogatori di garanzia per gli indagati che fin da subito hanno beneficiato degli arresti domiciliari e per alcuni finiti in carcere. Il giorno dopo il giudice per le indagini preliminari interrogherà gli altri destinatari del provvedimento restrittivo in carcere, mentre il boss Angelo Schillaci – detenuto nel carcere calabrese di Palmi – sarà sentito per rogatoria. Gli indagati sono difesi dagli avvocati Giuseppe Dacquì, Claudio Testa, Antonio Impellizzeri, Vincenzo Ricotta e Pietro Sorce.
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