di Vincenzo Pane
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«Fra il 2004 e il 2005 a Milena c’erano questi “ragazzi” che facevano molti danneggiamenti. Abbiamo saputo che erano vicini al reggente locale Francesco Randazzo, ma questi non era più riuscito a controllare la situazione e c’erano Gioacchino Cammarata e Giuseppe Tona che facevano quello che volevano».
Non ha appreso di queste circostanze per conoscenza diretta, ma il collaboratore di giustizia Maurizio Carrubba si è soffermato su diversi dettagli riguardanti la famiglia mafiosa di Milena che, come quella di Campofranco della quale era reggente, appartiene al mandamento mafioso di Mussomeli.
Carrubba ieri ha fatto il suo esordio da collaborante in un’aula di giustizia, collegato in videoconferenza con la seconda sezione penale della Corte d’Appello (presidente Sergio Nicastro, consiglieri Miriam D’Amore e Giovanni Tomaselli) che si sta occupando del processo di secondo grado per l’operazione antimafia “Uragano”, in cui sono imputati Calogero Amico, Salvatore Amico, Gioacchino Cammarata, Giuseppe Cammarata e Giuseppe Tona, tutti condannati in primo grado per associazione mafiosa ed estorsione a pene oscillanti fra gli 11 e i 20 anni. Il neo collaborante ha risposto alle domande del sostituto procuratore generale Antonino Patti e degli avvocati difensori Antonio Impellizzeri, Emanuele Limuti, Adriana Salerno, Danilo Tipo, Delfino Siracusano, Pietro Sorce e Gaetano Lisi.
«NOI DI CAMPOFRANCO NON CONDIVIDEVAMO QUELLO CHE SUCCEDEVA A MILENA».
Carrubba ha raccontato di avere ricevuto dall’ex capomafia di Milena Francesco Randazzo sulla situazione che c’era in quel paese: «Un giorno incontrai Randazzo a Milena e mi raccontò che queste persone facevano il bello e il cattivo tempo e si erano messi in mano il paese. Lui sembrava volersi scusare, era come se volesse prendere le distanze da queste persone. Mi disse che forse aveva sbagliato a metterseli vicini, perché ora non li poteva più controllare. Io avevo saputo qualcosa dai miei compaesani Salvatore Pirrello e Lillo Modica (ritenuti dagli inquirenti appartenenti alla cosca mafiosa di Campofranco, n.d.r.).
Da parte nostra non condividevamo quello che succedeva a Milena perché questi facevano estorsioni pure ai piccoli commercianti e non era giusto. Decidemmo però di non fare nulla, di non intervenire, perché se questa cosa di Milena andava avanti magari avrebbe distolto l’attenzione delle forze dell’ordine da Campofranco. Non so dire nel dettaglio quali fossero le vittime dei danneggiamenti o delle estorsioni. Quando la vicenda venne a galla appresi che una delle vittime era Diliberto, titolare di un agriturismo o qualcosa del genere e che a questo gli era pure morta la moglie in un incidente stradale».
«Devo però aggiungere – ha proseguito Carrubba -che né Cammarata, né Tona mi sono mai stati presentati ritualmente come “uomini d’onore” e per quello che so io non erano affiliati, mi ricordo che i Cammarata li chiamavamo “i malati”. Da parte mia non ho mai avuto rapporti con queste persone per discutere di affari legati all’attività di cosa nostra e nemmeno so di contrasti esistenti fra Giuseppe Tona e Francesco Randazzo. So che questi Amico erano grandi amici del figlio di Francesco Randazzo. Non so dire se lo stesso Francesco Randazzo li tenne vicini a sé quando era reggente della famiglia mafiosa di Milena».
Carrubba ha aggiunto: «So che era affiliato il padre di Tona; su Milena posso dire che erano componenti della cosca Giuseppe Palumbo, Carmelo Palumbo e Angelo Manta. Almeno questi sono i nomi che mi fece mio fratello. Dopo che nel ’98 fu ucciso Salvatore Randazzo, figlio di Francesco, proprio quest’ultimo cercò di scoprire quale fosse la mano che c’era dietro al delitto e si rivolse a soggetti mafiosi come lo stesso Giuseppe Palumbo, Angelo Schillaci e pure a Felice Schillaci, un altro fratello di Angelo. Randazzo incolpava del delitto un tale Carmelo Sorce e andò a lamentarsi del comportamento di Palumbo da Angelo Schillaci che era rappresentante provinciale. Siccome Schillaci non vedeva di buono occhio Palumbo lo rimosse dalla carica di reggente di Milena e diede quel ruolo a Randazzo. A Mussomeli, invece, comandava Sebastiano Misuraca, ma lui di tutta questa storia non volle saperne nulla».
«TEMEVAMO CHE RANDAZZO FOSSE UN CONFIDENTE».
Parlando di Francesco Randazzo Carrubba ha detto: «Quando Randazzo mi raccontò quello che accadeva a Milena io non dissi nulla perché girava la voce che fosse un confidente delle forze dell’ordine, perché pare che fosse in contatto con un capitano della Finanza o della Polizia, un tale Di Maggio o qualcosa del genere».
E IL COLLABORATORE GELESE BILLIZZI TIRA IN BALLO CAMMARATA
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