Nuova chiusura del Caffè Romano, le vetrine spente l’ennesimo simbolo di sofferenza economica-sociale
La città continua a perdere pezzi di storia
W. G.
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Il caffè Romano ha chiuso i battenti, e con le sue vetrine vuote e spente è divenuto l’ennesimo simbolo di una storia – economica, sociale, di costume e anche letteraria – i cui frammenti questa città va perdendo di giorno in giorno.
Al di là del futuro destino di quello che è stato il ritrovo per eccellenza del centro storico, e della nuova destinazione dell’arcinoto locale di corso Umberto, proprio grazie a frammenti di storia riscopriamo che quel caffè – assieme agli altri gravitanti un tempo su piazza Garibaldi – con le sue prelibatezze dolciarie stimolava, oltre che i palati degli avventori, anche i ricordi di nisseni illustri che questa città avevano abbandonato. Come, ad esempio, Pier Maria Rosso di San Secondo, che nel suo racconto “Banda Municipale” (che qui riportiamo integralmente) scrive di Romanes e dei tavolini allestiti dinanzi al tradizionale palco della musica in piazza, tra gelati e cassate, e giro di camerieri indaffarati.
Ho della mia cittadina natale, al centro della Sicilia, dove trascorsi la mia fanciullezza e poi la mia adolescenza, dei ricordi vaghi; ma alcuni mi rimangono come impressioni fotografiche, come impressioni d’istantanee, e questi sono lucidissimi: sento persino le voci delle persone, le immagini delle quali si muovono nette come se le avessi davanti.
Due o tre volte la settimana, nella piazza principale della cittadina, era preparato il palco della musica municipale; segno che la sera si eseguiva un programma musicale (Le sere d’estate s’intende. Durante l’inverno, la musica si eseguiva di giorno, se non pioveva). Ma le sere d’estate, era una festa!
Le quattro strade principali che mettevano nella piazza, erano già gremite di gente ancor prima che cominciasse il concerto. Si vedevano allora persone che non s’incontravano di solito. Erano abitanti dei quartieri più bassi della cittadina, che, d’ordinario, non venivano al centro perché non ne avevano ragione. Le donne, vestite dei migliori vestiti, con lo scialle sulle spalle dai colori sgargianti, gli uomini, che le accompagnavano, con l’abito festivo ed un garofano all’occhiello: gente del popolo, che raramente si avvicinava a sedere da Romanes, il quale apriva bottega di caffè proprio sulla piazza, e le sere in cui c’era la musica, avanzava i suoi tavolini dal marciapiede davanti ai negozi fin quasi in mezzo alla piazza, dove i signori venivano a sedere per sorbire i gelati.
Romanes era in grande agitazione. Correva, nonostante la sua obesità, da un punto all’altro e, riconoscendo i signori clienti che giungevano si dava a gridare:
– Buonasera, signor cavaliere e famiglia, pronto per lei. Ecco un tavolino che fa per lei. Pietro, servi il cavaliere! – finiva volgendosi ad uno dei camerieri che premurosi correvano di qua e di là.
Romanes poi si volgeva dall’altro lato:
– Buonasera, signor marchese. Pronto anche per lei. Ecco il tavolino preparato per lei! Cassata, fragola, schiumone: abbiamo gelati d’ogni genere stasera, signor marchese!…
Ma non finiva, che doveva volgersi altrove:
– Buonasera signor barone. Ecco il tavolino preparato per lei e la sua rispettabile famiglia. Cassata, fragola, schiumone.
In guantiere lucenti venivano serviti i gelati, e allora s’udiva un acciottolato di piattini e cucchiaini. Poi da una delle strade laterali sbucava la banda in grande uniforme con i pennacchi bianchi sul cappello e già scrosciava un grane applauso. Donizetti, motivi arcinoti, ma che destavano sempre l’entusiasmo della folla, che allora non passeggiava più, e, nel più perfetto silenzio, s’assiepava intono al palco musicale e alla fine scoppiava nel più irrefrenabile applauso. Talvolta, raramente davvero, nel programma era compreso Wagner. Eh, per Wagner era altra questione. Al caffè Romanes, persino i signori cominciavano a discutere. Wagner, per gli uni non significava nulla: non era musica, erano rumori. Per gli altri, era un raffinato, un musicista che aveva superato tutti, tutti senza eccezione! E mentre si discuteva, nessuna stava a sentire.
Ed ecco una sera, era in programma un brano di Wagner, “La cavalcata delle Walkirie”. E, da principio, la cavalcata andò benissimo, ma, giunti all’apice del motivo, lo strumento che doveva portare in alto il tono della cavalcata, mancò. Non si fece udire. Il direttore sospese subito la musica e cominciò a urlare:
– De Francesco! De Francesco!
De Francesco era il musicante che aveva mancato. E personalmente non si trovò.
– Che cosa è successo?
– E’ venuto un ragazzo a dirgli qualcosa, e De Francesco è scappato via! – risposero al maestro gli altri musicanti.
D’un tratto si vide comparire De Francesco tutto trafelato. E il maestro lo investì:
– De Francesco! Ti puoi considerare come licenziato! Che maniera è? Lasciare la banda così?
– Che vuole signor direttore? – rispose De Francesco. – Non avevo il tempo nemmeno di domandarle permesso. Mia moglie con le doglie! Cui sono stato. E ho trovato un bambino già bell’e nato. Tutto bene, signor direttore! Ora posso suonare “La cavalcata delle Walkirie”.
E la cavalcata delle Walkirie ricominciò. Questa volta, saputosi in giro l’accaduto, Wagner fu applaudito calorosamente.
(da «Le sere d’estate in piazza e al bar, era una festa» di Pier Maria Rosso di San Secondo)
Verosimilmente Rosso in questo suo ricordo-racconto (pubblicato nella raccolta dallo stesso titolo edita da Sciascia nel 1954) fece, all’epoca, una “commistione” di cognomi, mescolando Romano con Romeres, nella realtà due distinti gestori di bar-caffè-dolcerie.
Romano – ce lo tramandano gli storiografi locali – aveva avviato la propria attività in corso Umberto addirittura poco dopo il 1860 con don Totò e moglie donna Teresina, ed esercizio rinnovato, abbellito e inaugurato nel 1868. Giuseppe Romeres aveva invece aperto il suo locale a fianco della chiesa di San Sebastiano, e quindi proprio accanto il palco della musica che veniva allestito per i concerti settimanali del corpo bandistico cittadino. Quindi è da ritenersi lui il rubicondo e indaffaratissimo titolare che correva tra i tavolini sansecondiani sistemati fin quasi al centro della piazza per dare il benvenuto a marchesi, baroni e altri clienti di rispetto, seduti in attesa di gustarsi, oltre al gelato, la musica della banda municipale.
Ai tempi Romeres assicurava anche un apprezzato servizio di trattoria, così come avrebbe fatto anche Romano, indubbiamente con più fortuna e clientela. Più tardi il locale di Romeres divenne l’Extra Bar, anch’esso poi scomparso dalla piazza e dai ricordi di questa città.
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