L’artigiano che punta sulla “pietra lavica 2.0”: «Sfruttiamo i materiali di scarto per creare manufatti di alta qualità»
DAMIANO SCALA
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Facendo uno sforzo la si potrebbe chiamare “pietra lavica 2.0” perché, da qualsiasi prospettiva la si
voglia vedere, quella che ha per le mani Riccardo La Rosa rappresenta il frutto di un’idea innovativa. Il materiale di scarto delle varie lavorazioni della roccia etnea che viene reinventato in un prodotto innovativo, altamente tecnologico ed esportato in tutto il mondo.
La visione di un imprenditore ed artigiano misterbianchese che, alle pendici del vulcano, ha sviluppato un nuovo materiale che lui stesso ha ribattezzato “Petrafil”. «Dopo le difficoltà iniziali, le tantissime prove e la verifica dello spessore – spiega Riccardo La Rosa – sono riuscito a trovare la combinazione giusta.
Tutto nasce dalla necessità di smaltire gli esuberi di produzione che, in condizioni normali, possono arrivare anche al 50% del materiale. Parliamo di scarti che andavano inevitabilmente perduti visto che le segherie o i marmifici letteralmente li buttavano».
Cosa si può fare per rimettere sul mercato, a costo quasi zero, gli scarti creando manufatti di alta qualità? E’ que –
sta la domanda che martellava il cervello del giovane artigiano misterbianchese.
Dall’Etna moltissime aziende, soprattutto da quello che resta della colata lavica del 1669, estraggono ogni giorno la pietra lavica per lavorarla.
«Io, in tal senso, sono riuscito a fare un passo avanti – prosegue La Rosa – provando con molti tipi di prodotti leganti, giorno dopo giorno, sono arrivato alla ricetta giusta che oggi ci dà questo: bottiglie, lavelli e molti altri prodotti leggeri e malleabili».
Il paragone è lì, facile facile e la differenza è molto evidente. Con il “Petrafil” si possono realizzare manufatti dello spessore di 0,3-0,5 millimetri contro il centimetro del prodotto in pietra lavica tradizionale. Oggetti resistenti e dal peso notevolmente inferiore che attirano compratori da tutto
il mondo perché possono essere trasportati in maggiore quantità all’interno dei container.
E’ la Sicilia che si fa conoscere, l’eccellenza targata “Trinacria” che, pur in questo periodo di pandemia e di crisi, non vuole arrendersi e, anzi, lancia un preciso monito all’economia dell’Isola. Tradizione o innovazione? Il dibattito è ancora aperto anche se il “Petrafil” rappresenta il futuro della pietra lavica. Nel frattempo nella piccola azienda della provincia etnea tutto è in movimento.
Corre anche Riccardo che passa da un punto all’altro a inseguire la perfezione nei dettagli. «Parliamo di un prodotto brevettato la cui formula è assolutamente top segret per i prossimi 20 anni dice l’imprenditore – ho inserito un legante altamente tecnologico e molto costoso, usato nei settori della ricerca aereospaziale, ma che rende il manufatto di gran lunga superiore a quello realizzato con la sola pietra lavica naturale per quanto riguarda le caratteristiche chimico fisiche e meccaniche».
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