Mamma Croce: la strega bianca di Sutera
di Gero Difrancesco
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La gente raccontava che non era una fattucchiera, che pregava a casa sua, davanti ad una immagine del “Cuore di Gesù” e che sortiva effetti miracolosi per gli infermi. Tra gli anziani, fino a qualche anno fa, tutti si ricordavano di lei: pochi per averla conosciuta direttamente, molti per averne sentito parlare.
Per l’anagrafe si chiamava Crocifissa Costanzo fu Pasquale e fu Sorce Maria ed era nata a Mussomeli nel 1852. Per quelli che la conoscevano era soltanto “mamma Croce”, la santa, la mistica.
Rifiutava qualsiasi compenso in denaro per le sue attività taumaturgiche e pregava in ascesi, invocando la intercessione di San Paolino. Non era sposata, non lo era mai stata.
La sua vita era trascorsa a ridosso di un fratello, Giuseppe, e della sua famiglia. Lo aveva seguito anche a Sutera, nel 1911, per aiutarlo con i figli, dopo la morte della seconda moglie. Giuseppe Costanzo era vedovo di Chela Giuseppa, dalla quale aveva avuto due figli. Nel 1899 aveva sposato Rosa Vitellaro, figlia di don Felice, vecchio sindaco di Sutera e con lei aveva avuto altri due figli. Rosa era morta a trentasette anni, per i postumi di un terzo parto qualche mese prima della neonata anch’essa deceduta, lasciando il marito e i quattro figli.
In paese, mamma Croce abitava in una casa di proprietà della cognata nelle vicinanze della piazza Sant’Agata ed in quella casa riceveva le suppliche dei disperati, di ogni parte della Sicilia. Da quando si era sparsa la voce delle sue capacità guaritrici, il paese era diventato un formicaio di forestieri: la piazza una continua fiera di bestiame. Gli infermi arrivavano a dorso dei muli dalla stazione di Sutera, percorrendo una strada impervia ed accidentata. Non c’erano strade di collegamento carrabili nella zona e il paese, per la sua posizione alpestre, era del tutto isolato.
“Mamma Croce “, diceva la gente, “aveva un rimedio per ogni malattia, una parola di conforto per tutti”. Anticipava molto spesso le richieste del suo intervento leggendo nei pensieri delle persone. Si immedesimava nel dolore e nella disperazione. Si concentrava…Cadeva in trance…Travalicava, con l’autoipnosi, i confini della realtà.
Non sempre riusciva nel suo intento: la morte di Rosa e della neonata ne erano la dimostrazione. Qualche volta lo sforzo mentale a cui si sottoponeva allentava la sua capacità di resistenza e le procurava collassi.
La notorietà della mistica era diventata tale che lo scrittore mussomelese Calogero Nucera, nel suo romanzo “ Nel segno del Miracolo” pubblicato con lo pseudonimo di Kalino Tavania, ricordando con entusiasmo le sue doti, la fece diventare interlocutrice terapeutica di Matilde Serao e di Gabriele D’annunzio. Potenza dell’immaginazione? Verità ? Chissà!!
Il professore Calogero Sinatra, suo contemporaneo, molto più realisticamente, sul giornale “La forbice” accennava, ironizzando, alla concorrenzialità, tra le vicine di casa di mamma Croce, per l’accaparramento dello sterco lasciato in piazza dagli innumerevoli muli dei visitatori. Il “fumere” di mulo, in quegli anni, era il concime più ricercato.
Un fatto, comunque, è certo. Da lì a poco, mamma Croce dovette sloggiare dal paese.
Una nonna ancora vigile e vivace raccontava, quando andavo a trovarla, che l’arciprete don Giuseppe Nicastro, già insofferente per la presenza, a Sutera, di quella “magara“ si indispettì enormemente durante la festa del Crocifisso del tre di maggio, quando la processione si arrestò davanti alla sua abitazione a causa della calca di persone, che aspettavano il turno per incontrarla. Qualcuno insinuò che la fermata non fu dovuta alla folla, ma ad una inspiegabile, irrefrenabile, forza arcana.
A quel punto medicina e religione divennero alleate e il dottore Antonino Vaccaro e l’arciprete Nicastro, ispiratori, per interposte persone, dell’amministrazione comunale dell’epoca, fecero le dovute pressioni su don Totò Castelli, sindaco e delegato di pubblica sicurezza, e decretarono la rimozione dello scandalo.
Mamma Croce non fece alcuna resistenza all’invito di allontanarsi dal paese, non aveva percepito mai la medicina e la religione come nemiche. Si sussurrava, tra l’altro, che avesse aiutato lo stesso medico e l’arciprete a risolvere i loro problemi di salute .
Si trasferì immediatamente alla montagna, (così i suteresi chiamano Monte Caccione), nella casa di campagna ereditata dal padre. La sua famiglia di “campieri e agricoltori proprietari” le aveva, da sempre, garantito protezione e solidarietà.
Visse ancora diversi anni in quella casa, in cima al monte, circondata dai nipoti, ricercata dagli “ spranzati “ della medicina ufficiale e dai seguaci della teurgìa.
Morì il 22 settembre del 1928 all’età di 76 anni per una banale influenza. Una sua amica fedele, la za Francisca la Campanara la riportò a Sutera.
Non si fecero funerali per mamma Croce. Don ‘Nofrio Pardi, il nuovo arciprete, li impedì.
Le gerarchie ecclesiastiche private del fuoco come strumento di purificazione dalla stregoneria, si prendevano la rivincita in questo modo.
La strega bianca, come qualcuno l’aveva definita, venne accompagnata all’estrema dimora soltanto dai parenti. Neanche i beneficiari delle sue pratiche ebbero il coraggio di sfidare la chiesa e un capitolo della storia sociale di Sutera si concluse.
Qualcuno cercò di accreditare l’idea che i nipoti di mamma Croce avessero ricevuto in eredità i suoi “poteri”.
Tale diceria, però, non ebbe seguito. Essi stessi la smentirono immediatamente. Soltanto Pasquale “l’astronumu”., trasferitosi a Palermo, intraprese studi di astrologia. Ma alle persone che si recavano da lui per la cura di malattie, confessava la sua impotenza. A stento e dopo insistenze concedeva la possibilità di pregare davanti al “Cuore di Gesù” ereditato da mamma Croce, che custodiva gelosamente. Negli anni trenta pubblicò un “ Annuario Astronomico Meterelogico con Calendario Profetico “ che chiamò “ Il solitario Chiovo”. Nella introduzione avvertiva che “Le predizioni dei fenomeni che io riporto, nulla hanno di soprannaturale o d’ispirazione come alcuni credono, né sono scritte a capriccio come altri immaginano, ma a tutti è dato constatare che esse portano l’indagine di lunghi studi fatti sul Monte Caccione, sopra centenarie statistiche di analogie riscontrate in certi periodi di ritorno di cicli planetari”.
L’arciprete Pardi morì lo stesso anno di “mamma Croce”, nel mese di dicembre. Uno scompenso cardiaco lo finì inesorabilmente nel volgere di poco tempo. La gente racconta che si fosse ammalato di cuore dopo aver subito un attentato mafioso. Una bomba era stata lanciata nottetempo sulla sua abitazione dal figlio di un malandrino che l’arciprete, nei mesi della Bonifica Mori, aveva denunciato all’autorità giudiziaria.
La sera in cui morì, don Nofrio era solo. I preti che lo avevano accudito durante la malattia erano intenti, in quegli ultimi momenti, a brigare perla sua sostituzione.
L’arciprete morì tranquillo. Lo trovarono l’indomani composto sul letto e con uno strano sorriso sulle labbra. Una comare della “vaneddra” dopo tempo, ma di nascosto per paura di rappresaglie, bisbigliò alle vicine che “mamma Croce”, quella sera, era tornata, per aiutare don Nofrio nel momento del trapasso. Giurava e spergiurava di averla vista uscire dalla porta di casa dell’arciprete, intorno alla mezza notte mentre la luna diventava piena.
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