Una lettera trovata nel covo di Provenzano e «spiegata» da un pentito fa scoprire il «patto» tra clan
Dal «pizzino» ricostruita un’estorsione
di Vincenzo Pane
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Campofranco. Estorsioni, armi, esplosivi ed alleanze con la mafia agrigentina. Lo scenario che emerge dall’indagine antimafia “Amicizia”, condotta dalla Procura e dal Ros dei Carabinieri, conferma ancora una volta la pericolosità della famiglia mafiosa di Campofranco, che continua ad avere in Angelo Schillaci – rappresentante provinciale di Cosa Nostra nissena – una figura di riferimento.
Dopo il blitz “Grande Vallone” dell’aprile di un anno fa, i Carabinieri del Ros di Caltanissetta, guidati dal capitano Rosario Di Gangi, hanno fatto luce su un’estorsione perpetrata a danno di un consorzio di aziende impegnate nella produzione di bitume ed hanno anche rinvenuto una parte dell’arsenale della cosca mafiosa di Campofranco.
GLI INDAGATI.
Cinque gli indagati raggiunti in carcere da un’ordinanza di custodia cautelare per i reati di estorsione e detenzione illegale di armi ed esplosivi. Si tratta di Angelo Schillaci (50 anni), ritenuto il rappresentante mafioso provinciale di Caltanissetta, Alfredo Schillaci (45 anni), fratello di Angelo. Nomi eccellenti, come quelli di Giuseppe Falsone (41 anni), capomafia della provincia di Agrigento e di Vincenzo Parello (51 anni, di Favara), fedelissimo di Falsone.
Ad inchiodarli sono state le dichiarazioni del quinto indagato, ovvero Maurizio Carrubba (40 anni), ex affiliato mafioso di Campofranco, divenuto collaboratore di giustizia nel giugno di un anno fa dopo il suo arresto nel blitz “Grande Vallone”.
L’ESTORSIONE ALLA GRUPPO ASFALTI.
Tutti e cinque rispondono dell’estorsione a Giuseppe Pullara, amministratore del consorzio “Gruppo Asfalti”, che avrebbe dovuto versare nelle casse della mafia 20 mila euro “una tantum” oltre a rivolgersi all’impresa dei fratelli Schillaci per forniture e trasporto di materiali edili. Alla fine Pullara avrebbe pagato solo 13 mila euro rispetto alla richiesta originaria di 20 mila euro; in tutta questa operazione c’era la regia del capomafia agrigentino Giuseppe Falsone. La mafia agrigentina, infatti, avrebbe anche fatto in modo che la “Gruppo Asfalti” acquistasse l’impianto di produzione di bitume, situato in contrada Piana nelle campagne di Sutera, che era di proprietà della ditta riconducibile all’imprenditore di Misilmeri Giovanni Aloisio, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo “Redde rationem”.
Un giro di affari illegale che è stato possibile ricostruire grazie anche ai pizzini indirizzati a Giuseppe Falsone, ritrovati nel covo del boss Bernardo Provenzano. Quest’ultimo teneva ai buoni rapporti tra le cosche mafiose di Caltanissetta ed Agrigento, tanto che, in merito alla spartizione dei guadagni raccomandava di non dimenticarsi di Angelo Schillaci, chiamato “l’amico di CL”. Alla fine, le due famiglie mafiose si spartivano i guadagni delle estorsioni grazie agli intermediari, ovvero Parello e Carrubba, mentre Alfredo Schillaci divenne la figura di riferimento per i mafiosi agrigentini – che tenevano a rispettare i patti con i nisseni – dopo l’arresto del fratello. L’arresto di Angelo Schillaci, nel linguaggio criptico dei pizzini di Provenzano, veniva indicato come “ricovero”.
LE ARMI E GLI ESPLOSIVI.
Un fucile da caccia calibro 16 a canne giustapposte e tre candelotti di dinamite da cava, oltre a micce di diversa lunghezza e detonatori vari. Questo il materiale ritrovato dai Carabinieri in un canale per lo scolo delle acque piovane, situato nella zona adiacente all’azienda dei fratelli Schillaci. L’arma e gli esplosivi erano custoditi in una nicchia ricavata all’interno di una delle parti mobili che compongono il canale di scolo.
Materiale che, secondo il procuratore capo Sergio Lari, il colonnello Roberto Zuliani – comandante provinciale dei Carabinieri – e il capitano Rosario Di Gangi, costituirebbe una parte dell’arsenale della famiglia mafiosa di Campofranco.
Il pentito Maurizio Carrubba, nel rivelare agli inquirenti l’esistenza del deposito di armi e la sua locazione, aveva parlato anche della presenza di altre armi che però non sono state ritrovate.
L’inchiesta prosegue e uno degli aspetti da approfondire riguarda se le armi sono ancora nella zona di Campofranco e se sono ancora nella disponibilità di chi le ha spostate, visto che molti presunti affiliati alla cosca di Campofranco sono attualmente detenuti.
Gli esplosivi non erano in buono stato di conservazione, tanto che gli inquirenti hanno sottolineato che sarebbe stato rischioso trasportarli fuori per utilizzarli. E’ stato infatti necessario l’intervento degli artificieri per far brillare la dinamite; al momento non è chiaro se il fucile e gli esplosivi (di un tipo non più reperibile in commercio) dovessero servire per commettere qualche attentato in particolare.
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