Il dott. Giorgio Lombardo ricostruisce la genesi di varie espressioni popolari con la spiegazione del loro significato
Antichi detti dialettali, uno studio sull’origine storica
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Da qualche tempo c’è una rivalutazione culturale del dialetto siciliano, incomprensibile ai più, soprattutto ai più giovani, e dimenticato dai più adulti anche se questi ultimi ricorrono spesso alla citazione di vecchi detti in dialetto per dare forza al discorso.
Grazie a pochi studiosi dilettanti di altissimo livello, quali Amabile Guastella, Salamone Marino, la Hamilton Caico e il più importante Giuseppe Pitrè, non è andato perduto l’enorme patrimonio linguistico dialettale della Sicilia. Ma ci sono anche altri studiosi dilettanti che tuttora ricercano vecchi detti in dialetto, li “traducono” e ne spiegano il significato.
Uno di questi è il dott. Giorgio Lombardo, fisico, ambientalista, dedito a queste ricerche così come agli antichi usi degli “invasori” arabi ed alle definizioni di oggetti, paesi e usi i cui i nomi originari sono stati modificati dagli “arabi” unendoli con la loro lingua.
Il dott. Lombardo ha raccolto antichi detti, in uso in vari paesi siculi, soprattutto tra i contadini e li ha “tradotti” facendone la ricostruzione storica e fornendone una spiegazione. «Il dialetto – dice Lombardo – non è soltanto una modalità del dire diverso dalla lingua Nazionale Ufficiale, ma, ricco degli armonici e delle sfumature significanti della parola, formatosi nel corso dei millenni, custodisce al proprio interno la memoria e l’epos di civiltà coese, quali quella contadina».
Queste alcune frasi scovate nei ricordi di anziani o in vecchi libri e “tradotte” per i contemporanei.
«Finiemmula di parlari ammatula» cioè “Finiamola di parlare inutilmente”. Letteralmente: parlare alla (con la) Matula. La matula nel periodo Bizantino Carolingio, era l’ampolla di vetro trasparente dove il medico, un alchimista o mago, raccoglieva l’urina dei malati e l’osservava contro luce emettendo la diagnosi e prescrivendo la cura. Il più delle volte, però, il paziente moriva e i parenti dicevano : «Ha parlato cu la matula» che successivamente diventerà “parlari ammatula” cioè un intervento medico inutile.
«Ci detti la coffa» La coffa è un contenitore di merce varia. Nel rituale contadino del fidanzamento, la famiglia del maschio inviava alla famiglia della ragazza una “coffa” piena di primizie: Se la famiglia tratteneva merce e contenitore la proposta di fidanzamento si intendeva accolta. Se invece restituiva la coffa il fidanzamento non si realizzava. Quindi anche ai nostri tempi per dire che l’uomo era stato respinto si dice «Ci detti a coffa».
«E ora ca nun’ha ne ganzu ne maritu, mi pari un casalino abbannunatu». Il casalino era una piccola casa di campagna destinata all’abbandono. Quando una ragazza rimaneva senza fidanzato o marito era, secondo la madre, come un “casalino” abbandonato e deserto. E quando una ragazza non trovava marito la mamma diceva alla figlia :”Datti da fare altrimenti rimarrai zitella e inutile”, come sono i casalini disabitati.
E sullo stesso argomento la frase «Lu signuri un ci fici a grazia e n’ha ristà di usu di casa» che tradotto “Gesù non le ha concesso la grazia di trovare marito e ci è rimasta per i lavori di casa”. La rassegnata risposta del padre in merito alla figlia zitella e ormai in età avanzata.
«S’allampà», letteralmente è “morto improvvisamente”. La allampatura era una malattia improvvisa che colpiva le piante dei ceci provocandone il disseccamento immediato. La definizione era usata per le persone che morivano improvvisamente che «si allampavano».
«Cu tuttu ca sugnu uorbu la viu niura» letteralmente: “Anche se sono cieco la vedo nera”, cioè “finirà male”. A tale proposito Leonardo Sciascia, come racconta Lombardo, raccontava un gustoso aneddotto su “lu zi pietru l’uorbu”, cieco dalla nascita e saggio Racalmutese. A chi gli chiedeva un parere sulla guerra annunciata da Mussolini contro Francia e Inghilterra rispondeva: «Cu tuttu ca sugnu uorbu la viu niura» ed il tempo gli ha dato ragione.
«Ha la crozza chiù dura d’un cuti», letteralmente “hai la testa più dura di una pietra” (cuti: un grosso ciotolo di fiume), cioè avere la testa dura, essere testardo.
«Accura a lu pulieru». Tipica frase mafiosa, o avvertimento minaccioso a chi vuole intraprendere un’azione ritenuta pericolosa. “Pulieru” era il segno, visibile anche da lontano che delimitava importanti proprietà terriere. Erano i “campieri”, con coppola e fucile, anche negli anni sessanta, a gridare a chi si incamminava verso la proprietà vigilata. “Accura” cioè attento dove vai.
«Stari arrassu». cioè tenere la giusta distanza, sia fisica che sociale. Arrassu deriva da rasa. La rasa, stelo di legno di noce, veniva passato radente sul “tumulo” appena riempito per eliminare il grano che superava il bordo superiore e quindi assicurare la precisione del peso del grano in occasione della spartizione del raccolto con i contadini e quindi agire con equità.
«Parinu lu griddu n’capu la gregna» letteralmente: “Sembrano il grillo sul covone di grano”. Si dice in genere di una coppia di fidanzati o sposi con notevoli dimensioni l’uomo (il grillo) e la donna (il covone).
«Li tri di la maidda» letteralmente “Tre amici, vicino alla madia”. Il detto si usava per indicare i soliti furbi, gli approfittatori. La madia è un contenitore in legno dove i contadini impastavano la pasta ma anche in occasione di feste o banchetti veniva usata per condire i maccheroni con il sugo. I più “sperti” approfittatori, si posizionavano in prossimità della madia per mangiare subito e potere fare il bis.
Questi alcuni dei vecchi detti ritrovati dal dott. Lombardo, tradotti e spiegati. Un lavoro certosino svolto in vari paesi della provincia, riuscendo a riportare d’attualità detti e proverbi dei nostri nonni, tutti vecchi saggi che conoscevano la vita e non sbagliavano mai.
[…] o “invano”. Molto interessante è la genesi del vocabolo. Secondo questo blog, la matula nel periodo Bizantino, era un’ampolla di vetro trasparente dove il medico, un […]
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[…] con “inutilmente” o “invano”. Molto interessante è la genesi del vocabolo. Secondo questo blog, la matula nel periodo Bizantino, era un’ampolla di vetro trasparente dove il medico, un […]
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