La storia di Damareta figlia di Terone di Akragas e sposa di Gelone
a cura di Melina Palumbo
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Damareta (a cui è stata dedicata una via di Agrigento) visse nel quarto secolo a. C., nel periodo più glorioso della storia di Akragas quando vi regnava Terone, di cui era figlia.
Damareta fu sposa di Gelone e, dopo la sua morte, del cognato Polizelo.
La sua fama meritata di grande signora e di donna eccezionale non si deve solo al fatto che fu legata a uomini politici di grande statura ad Agrigento e Siracusa, ma anche alle sue capacita diplomatiche.
Secondo gli studiosi, si deve a lei la celebre clausola con cui i siciliani imposero ai vinti cartaginesi la rinunzia ai sacrifici umani nei loro riti religiosi.Da allora si ebbe la cessazione dell’uso punico di immolare essere umani al dio Baal.
Per l’alto contributo dato da Damareta alla vittoria di Imera ed al trattato di pace, i siciliani le manifestarono la loro ammirazione donandole una corona d’oro dall’eccezionale peso di cento talenti. Damareta se ne servì per fare coniare una preziosa moneta d’oro del valore di dieci dramme ateniesi detta Damarateion.
Da sottolineare che dopo la sanguinosa sconfitta dei Cartaginesi, nella battaglia di Imera del 480 a. C., Damareta ha un ruolo fondamentale nelle trattative per la pace ottenendo, fra l’altro, che non si sacrificassero più bambini alle divinità.
Venticinque secoli di storia non hanno minimamente offuscato o smussato questa figura di donna, appassionata e saggia, sensibile e lungimirante, straordinariamente attuale per quanto riguarda le problematiche inerenti l’universo donna, quello dei bambini, il travaglio continuo dei popoli per la pace.
Non era ancora il mese di Gamelione quando Terone il re, una sera che era odore di pioggia fin dentro le stanze, disse a Damareta: “Andrai sposa, figlia mia…”
Chi, io, padre mio?
Si, sei grande ormai. I tuoi fianchi sono robusti: possono generare una stirpe senza uguali.
Chi sarà il mio sposo, padre?
Sarà Gelone di Gela. Un grande alleato per Akragas. Una fortuna, questo matrimonio, per il nostro regno. Il popolo di Akragas e quello di Gela vivranno in pace…
Così sarà, figliola. Sarà il frutto di queste nozze.
Quando andrò sposa, mio re?
Prima che si concluda il mese di Gamelione. Sei contenta, Damareta?
Sia fatto come vostro desiderio, padre.
Ringrazia gli Dei, figlia. Gelone è un grande guerriero, un grande re, un grande uomo.
Il corteo nuziale si mosse con i primi chiarori ad oriente: molte ore di strada lo separavano da Gela. Vi doveva giungere entro il primo pomeriggio. Era bella Damareta nel suo vestito color fiore di mandorlo. Un lungo velo le copriva la testa; una corona di fiori le cingeva la fronte. Gela l’attendeva. Era in festa. Nelle vicinanze della dimora di Gelone, scesi dai carri, i parenti di Terone che formavano il corteo accesero fiaccole mentre Dafni, che precedeva la principessa, recava tra le mani una ciotola ricolma di chicchi di frumento come segno di fedeltà.
Innanzi l’uscio di casa, l’attendeva la madre di Gelone con quei doni nuziali ch’erano simbolo di feconditá.
Sull’uscio era lui. Gelone le stava innanzi. Certo, non poteva essere che Gelone l’uomo che l’attendeva sulla soglia.
Mai avrebbe immaginato, Damareta, che un uomo simile agli Dei, come cantava la dolce Saffo, sarebbe stato il suo sposo. Sentiva come un forte mancamento avviarsi dall’ipogeo del proprio corpo.
Mai i propri occhi l’avevano tradita: aveva sempre visto il vero, quanto è visibile da tutti. Anche ora gli occhi erano veritieri? Perché era tanta la bellezza d’uomo che aveva di fronte, tanta che non riusciva a contenerla. S’incontravano gli occhi.
Di stanza in stanza, Gelone la condusse al focolare domestico. Qui si riunivano i parenti piu ristretti. Gelone presentò Damareta ai numi tutelari dei dinomenidi. A loro, la principessa d’Akragas bella fece solenne promessa di fedeltá .
Così, il matrimonio veniva sancito. Così, Akragas e Gela si stringevano in alleanza.
Esplodeva, nelle stanze appositamente adibite, il banchetto nuziale. Lieto di canti e lieto di danze. Lieto di giochi. Fino a notte tarda. Era tempo per gli sposi di accomiatarsi dai parenti e raggiungere la stanza nuziale. Una donna, di nome Corinne, li accompagna fino alla porta. S’inchinò ad entrambi e si allontanò Dovevano varcare quella soglia da soli.
È tiepida l’acqua profumata di rose sulle spalle di Damareta.
Dafni la versa con gesti accurati da una brocca di terracotta mentre impalpabili vapori si sollevano dalla grande vasca posta in un angolo della stanza. Poi, la bionda ragazza sparge olio con essenze di zagara sulla schiena della regina.
Ricordo, mia Signora, le abluzioni che precedettero il vostro matrimonio.
Sembra ieri, tanto sono vive e presenti le immagini che ho conservate nella
mia mente.
E invece sono trascorsi quasi sei anni… Bella, Akragas mia.
Bella si. Le manca la valle, mia Regina, con i suoi mandorli?
La terra dove hai respirato la prima volta resta unica per sempre. Ma bisogna capire che le vere radici le abbiamo dentro di noi. Dovunque ci troviamo, quello è il luogo da vivere. La mia fanciullezza è stata meravigliosa ad Akragas.
La grande Dea benedica sempre il re Terone, vostro padre…
Tratto dal libro “Damareta” di Ester Monachino e dal libro “Stradario storico della città di Agrigento”, di Elio Di Bella.
Dipinto di Margherita Biondo
Foto di Eduardo Cicala
Altre immagini dell’antica Akragas ricreate al computer tratte dal web.
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