Descrizione di BELISARIO di Procopio di Cesarea
Tribunus
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Belisario è senza alcun dubbio uno dei più grandi comandanti romani di sempre, e questo non solo per via delle sue grandi capacità militari.
Infatti, oltre al vero e proprio genio tattico e alle doti di comando, Belisario si rivela, dalla descrizione data dalle fonti, anche un grande uomo, un vero e proprio modello di virtù – e questo particolarmente quando è all’apice della gloria, nel 540, di ritorno dalla vittoriosa campagna contro i Goti (la guerra, a questo punto, nessuno ancora immagina che si riaccenderà e durerà altri tredici anni).
Il ritratto di Belisario più completo ce lo fornisce il grande storico del VI secolo Procopio di Cesarea, al principio del terzo libro della “Guerra Gotica” (Guerre VII, 1).
Vale la pena di riportare alcuni passi per intero e lasciare la parola alla fonte.
“Belisario era però soggetto di tutti i discorsi, come colui che aveva riportato due vittorie come nessun altro prima di lui, e aveva portato prigionieri a Bisanzio [Costantinopoli] due re, dando ai Romani quali spoglie opime i discendenti e i tesori di Genserico e Teoderico, dei quali nessuno fu più illustre tra i barbari, restituendo allo Stato ricchezze ritolte ai nemici e in poco tempo recuperando all’impero circa una metà delle possessioni di terra e di mare.
Era un piacere per quelli di Bisanzio vedere Belisario ogni giorno, quando da casa si recava al foro o di là se ne tornava a casa, spettacolo di cui nessuno era mai sazio. Infatti la sua andata assomigliava quanto mai a una pompa trionfale, seguito sempre com’era da una turba di Vandali, di Goti e di Mauretani.
Egli era poi bello e grande nella persona, e si distingueva fra tutti per i tratti del viso. Si mostrava poi tanto affabile e benigno verso chi lo avvicinava da sembrare come un uomo di bassa fortuna e di condizione umile.
Il suo comandare era sommamente caro ai soldati e ai contadini.
Poiché verso i soldati più che con ogni altro era generosissimo, confortando con molto denaro quelli che nelle guerre avevano patito sventura, decorando di armille e torques coloro che si erano distinti.
E se un soldato in battaglia avesse perso il cavallo, l’arco o qualunque altra cosa, presto Belisario lo avrebbe rifornito di un altro pezzo simile.
Verso i contadini usava poi tanto riguardo e attenzione che mai, mentre egli era al comando, nessuno di essi ebbe a patire violenza, e anzi piuttosto si arricchivano dal suo arrivo con le truppe, poiché a queste essi vendevano tutto al prezzo loro voluto.
E al momento del raccolto, Belisario prendeva particolare cura che la cavalleria passando non lo rovinasse, né permetteva a nessuno di toccare i frutti degli alberi.
Era poi anche un uomo di singolare continenza, poiché mai egli toccò altra donna se non sua moglie, e avendo prese prigioniere tante e così belle donne vandale e gote, quali mai nessun altro ne aveva viste, non permise che alcuna di esse venisse al suo cospetto, né che altrimenti gli si avvicinasse.
Era poi prontissimo di mente in ogni cosa. Nell’incertezza, felicissimo nel trovare la scelta migliore; nei pericoli della guerra, animoso eppure cauto, audace ma con riflessione, secondo il bisogno pronto o lento nell’attaccare il nemico.
Era inoltre, negli eventi più sfortunati, fiducioso ed imperturbabile, in quelli felici mai superbo e arrogante.
Nessuno vide mai Belisario ubriaco.
[…]
Belisario dunque, divenuto potente, come abbiamo detto, per autorità e per senno, meditava cosa giovasse all’interesse dell’imperatore e metteva in atto le sue decisioni sempre con animo indipendente.”
Questo lusinghiero e straordinario ritratto di Belisario, che tanto si avvicina alla descrizione del comandante ideale nel più tardo 𝘚𝘵𝘳𝘢𝘵𝘦𝘨𝘪𝘬𝘰𝘯, il manuale militare dell’imperatore Maurizio Tiberio, è quello di un uomo all’apice della sua carriera e gloria personale.
Ma da Procopio stesso sappiamo, sia dalle Guerre che dalla ben più discussa Storia Segreta, che Belisario non è certo un uomo perfetto, anzi.
Se infatti come è fedele all’impero è anche fedelissimo a sua moglie, Antonina, finge ripetutamente di non vedere il tradimento di lei con Teodosio, un uomo a lui vicinissimo e che considera quasi come un figlio.
Quando finalmente prova a reagire alla situazione, nel momento in cui l’amico Fozio finalmente gli fa aprire gli occhi, si trova contro addirittura l’imperatrice Teodora e finisce imprigionato, proprio come Fozio e molti suoi seguaci.
Quando torna libero, tuttavia, Procopio lo accusa in modo molto esplicito di aver di fatto abbandonato l’amico al suo destino, non facendo nulla per farlo uscire dalla prigionia.
Belisario, da quanto sappiamo, rimane legato ad Antonina (della quale dopo il 548 non abbiamo più notizie certe, anche se forse sopravvive al marito), in quella che oggi, leggendo i suoi comportamenti nella Storia Segreta di Procopio, non esiteremmo a definire una relazione tossica.
Impossibile non immaginare il grande generale, che pure manterrà le sue grandi doti di militare e di uomo virtuoso fino all’ultimo, divorato dai propri pensieri, dubbi e ansie (ricordiamo come perda anche per diverso tempo i favori della corte e di Giustiniano stesso), legati anche a una situazione che, a un certo punto, deve essersi rassegnato a considerare senza via di uscita – e forse, chissà, forse riconciliandosi sul serio con Antonina (dettaglio che purtroppo non sappiamo, poiché quella descritta da Procopio non ha l’aria della riconciliazione vera e propria).
La descrizione a volte apparentemente contraddittoria che nelle fonti abbiamo di Belisario è quindi quella di un grande comandante e di un grande uomo, fedele e saldo nei suoi principi e valori, ma tormentato dai suoi interiori demoni e non incisivo come lo è in guerra verso coloro che ama e che hanno il suo cuore.
E questi difetti molto umani, se da una parte potrebbero farci storcere il naso, lo rendono forse un personaggio storico ancora più affascinante che non la sola “icona” del grande (anche se certo non imbattibile) comandante romano.
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