Il sacrificio di Ifigenia
Sonia Zaccaria
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Tra le figure della mitologia greca, Ifigenia è tra quelle che più hanno influenzato l’arte, la letteratura e la musica. Tantissime sono infatti le tragedie, le opere liriche e i dipinti che nei secoli hanno tratto ispirazione da questa bellissima vergine, primogenita di Agamennone e di Clitennestra, sovrani di Micene.
Eschilo nella tragedia “Agamennone” narra la versione più antica e crudele del mito. La flotta greca non può salpare per Ilio. È bloccata nel porto di Aulide in Beozia perché i venti sono contrari. L’indovino Calcante intima ad Agamennone di sacrificare la sua figlia più bella ad Artemide. Solo in questo modo, la flotta avrebbe preso il mare.
Il re non comprende perché il volere della Dea sia così efferato. Calcante gli ricorda di quando anni fa, colpendo una cerva con una freccia da lunga distanza, egli avesse esclamato che neppure Artemide sarebbe riuscita nell’impresa. La grave offesa va scontata. Agamennone acconsente al sacrificio.
Ulisse conduce Ifigenia in Aulide col pretesto del concordato matrimonio con Achille. Ma giunta nel porto e vestita da sposa, la fanciulla è uccisa dallo stesso padre. L’ira della divinità è placata e la flotta può salpare. È il trionfo del potere assoluto del Dio che chiede all’uomo l’assurdo sacrificio di un figlio per favorire il bene della comunità.
Euripide nei drammi “Ifigenia in Aulide” e “Ifigenia in Tauride” stravolge invece il finale. Proprio nel momento in cui Agamennone affonda il coltello nel cuore di Ifigenia, Artemide la sostituisce con una cerbiatta, portandola in salvo. La ragazza si risveglia in Tauride alla corte del re Toante che la rende sacerdotessa della Dea della caccia. In questa versione del mito, la divinità punisce ma perdona pur sottraendo comunque la fanciulla ai propri cari.
Ma in tutto ciò, la povera Ifigenia come affronta la morte, una volta compresa la situazione? Non spende lacrime e non si dispera. Dice di essere felice di sacrificare la propria vita per il bene della Grecia e per l’onore della sua famiglia.
L’epicureo Lucrezio, definito a posteriori un visionario delirante, ateo psicotico in preda alle forze del male, affronta la figura di Ifigenia nel poema “Sulla natura”. E bolla tutto il mito come una delle tante storie di crudeltà, perpetrate dall’uomo in nome di una cieca e superstiziosa religione (“Tantum religio potuit suadere malorum”), bieco e scellerato strumento politico e non fede serena e rassicurante. Chiamatelo pazzo.
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