In epoca imperiale il banchetto era status symbol dell’aristocrazia
Prof. Deb
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I Romani appartenenti alla nobiltà, dunque coloro di rango più elevato che potevano permettersi di avere una cucina in casa e dei letti su cui consumare la cena, mangiavano sdraiati.
Questo sistema introdotto nel tempo delle guerre puniche, prevedeva che essi si sdraiassero su una sorta di letto morbido e rivestito, impresiosito da ricche stoffe e cuscini, poggiandosi sul gomito sinistro e stendendo la parte inferiore del corpo, lasciando libero il braccio destro per prendere le vivande.
Le donne si sedevano all’estremità dei letti medesimi accanto ai loro sposi.
Si dice che Scipione l’Africano fu il primo che fece conoscere ai suoi concittadini questi piccoli letti per la mensa, detti punici o punicani. Le case dei più ricchi avevano una stanza particolare, chiamata triclinium, che prendeva il nome dai letti (triclinia) a tre posti su cui si stendevano i commensali. Essi erano disposti intorno alla “mensa”, ovvero il tavolo.
Un lato doveva necessariamente essere libero per consentire alla schiavitù di servire i pasti. Musiche e balli allietavano i commensali. I Romani mangiavano sdraiati un po’ per moda, un po’ per comodità.
La cena era il pasto più ricco, a differenza degli altri che erano frugali e allora perché non gustarlo comodamente distesi, masticando lentamente?
Spesso gli aristocratici romani tenevano lussuosi banchetti che erano organizzati intorno a tre portate. L’antipasto, chiamato “gustatio” includeva verdure e piccole porzioni proteiche come le uova, il tutto accompagnato da un unico vino, il mulsum, dal sapore dolce grazie all’aggiunta di miele.
La portata principale, con porzioni notevolmente abbondanti da consumare stesi in totale relax, prevedeva una o più proteine di origine animale. Come carni venivano selezionati tagli mediamente grassi di maiale, agnello, pollo, selvaggina e interiora. Il pesce preferito era di piccola dimensione, specialmente il pesce azzurro, con molluschi e crostacei.
Ad accompagnare la portata principale, diversi tipi di vino aromatizzati con spezie.
Il dessert, o seconda portata, chiudeva la cena con stuzzichini, frutta fresca e frutta secca. L’abbondanza del banchetto era un segnale inequivocabile di ricchezza e opulenza, con cui i patrizi ostentavano il loro benessere. Stupire gli ospiti era l’imperativo assoluto.
Si racconta che Lucullo, contemporaneo di Cicerone, di cui vi ho parlato di recente, si fece costruire un triclinio dentro una voliera. In questo modo i suoi ospiti, mentre gustavano la carne di pavone o di fagiano, potevano anche vedere l’animale vivo e svolazzante. “Piccolo” inconveniente: l’odore di pollaio, che rendeva impossibile la permanenza al suo interno.
Il banchetto, abitualmente, terminava con la “commissatio”, un momento dedicato a brindisi, canti, giochi e intrattenimenti.
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