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Archive for 14 giugno 2024

Lu fallaru sicilianu

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Il grembiule della nonna in dialetto siciliano si chiamava “lu fallaru”.
Tra i ricordi impressi nella memoria di chi ha vissuto un’infanzia genuina lontano dalle contaminazioni tecnologiche dei giorni nostri, affiora l’immagine del grembiule delle donne, un indumento immancabile nella quotidianità delle massaie.
Il grembiule, quello della nonna, era il più gettonato da noi bambini che potevamo trovare in una delle due tasche sempre qualche zolletta di zucchero o il riparo per nascondersi dalle ire della mamma o quando arrivava un estraneo e allora ci si nascondeva per timidezza.
downloadL’uso principale era quello di proteggere i vestiti mentre si cucinava e funzionava pure come guanto per prendere le pentole, asciugarsi le mani, tirare via le molliche dal tavolo e pulire le faccine sporche dei bambini o asciugarne le lacrime.
Era anche un mezzo di trasporto perché veniva utilizzato per mettervi gli ortaggi dell’orto, la legna da ardere nelle mitiche cucine di un tempo, le uova delle galline o semplicemente per nascondere qualcosa agli occhi indiscreti dei vicini quando si attraversava la strada per portare del cibo alla comare in difficoltà.
Il primo scopo del grembiule delle nonne era di proteggere i vestiti sotto, ma, inoltre serviva da guanto per ritirare la padella bruciante dal forno.
Era meraviglioso per asciugare le lacrime dei bambini ed, in certe occasioni, per pulire le faccine sporche.
Quando i visitatori arrivavano , il grembiule serviva a proteggere i bambini timidi.
Quando faceva freddo, la nonna se ne imbacuccava le braccia.
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Questo buon vecchio grembiule faceva da soffietto, agitato sopra il fuoco a legna.
Era lui che trasportava le patate e la legna secca in cucina. Dal pollaio, il grembiule serviva a trasportare le uova e, talvolta, i pulcini. Dall’orto, esso serviva da paniere per molti ortaggi dopo che i piselli erano stati raccolti era il turno dei cavoli. E a fine stagione, esso era utilizzato per raccogliere le mele cadute dell’albero.
 
Quando dei visitatori arrivavano in modo improvviso era sorprendente vedere la rapidità con cui questo vecchio grembiule poteva dar giù la polvere.
All’ora di servire i pasti la nonna andava sulla scala ad agitare il suo grembiule e gli uomini nei campi sapevano all’ istante che dovevano andare a tavola.
La nonna l’utilizzava anche per posare la torta di mele appena uscita dal forno sul davanzale a raffreddare. Ci vorranno molti anni prima che qualche invenzione o qualche oggetto possa rimpiazzare questo vecchio buon grembiule.

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PENIA

Oscar François de Jariayes
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Secondo un mito greco Penia è una dea minore che personifica la povertà ed il bisogno, sorella di Amechania, (Spirito greco che personifica impotenza e assenza di intenzione), e Ptocheia, (Spirito greco che personifica l’accattonaggio).
Penia, che rappresentava la povertà, veniva considerata femmina e perciò raffigurata come una brutta vecchia in continuo bisogno di denaro e di un tetto sotto cui vivere, mentre invece, la ricchezza, veniva raffigurata da Pluto, un maschio.
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I tre amori (Himeros, Eros e Pothos), con Penia, Peito e Afrodite
Platone nel suo Simposio narra che il giorno in cui nacque la dea Afrodite, sull’Olimpo si fece gran festa e tutti gli dei furono invitati all’evento, tutti tranne Penia che non aveva abiti adatti per l’occasione. Lei però si presentò lo stesso alla festa, sebbene preferì rimanersene all’esterno, con la speranza che qualche magnanimo Dio uscisse fuori e le gettasse qualche avanzo.
L’unico ad uscire fu Poro, figlio di Metide, che personificava l’ingegno, l’espediente e l’arte di sapersi sempre arrangiare, il quale, avendo bevuto troppo nettare, avvertì un malore e decise di andarsi a stendere all’aperto, nei giardini di Zeus, ma non fece neppure in tempo ad uscire, che svenne ai piedi di Penia.
Penia era segretamente innamorata di Poro, così, nel vederlo steso ai suoi piedi, ebbro ed addormentato, decise di approfittarne. Si sdraiò al suo fianco per giacere con lui, con la speranza di rimanere incinta, speranza, la sua, che si concretizzò poiché dall’unione della povertà, (lei), con l’arte di sapersi arrangiare,(lui), nacque un bambino: Eros,(Amore) che, da quel momento in poi, diverrà un seguace di Afrodite, visto che era stato concepito lo stesso giorno in cui ella era nata e poi Afrodite era anche molto bella ed Eros era, per natura, amante di tutto ciò che fosse bello.
Platone, nel suo Simposio, ce lo descrive in tal modo:

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Cinquant’anni fa si sentiva la gente cantare…

Mario Rigoni Stern
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Cantava il falegname, il contadino, l’operaio, quello che va in bicicletta, il panettiere…
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Oggi hanno smesso !
La gente non canta e non racconta più.
 

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