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Silvana Grasso
Via da questa Patria dove non c’è più posto per gli onesti
di Silvana Grasso
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«Dato che non c’è più posto per il lavoro onesto né compenso per le fatiche e il patrimonio della gente modesta è oggi minore di ieri e domani diminuirà ancora di qualcosa, io ho deciso di andarmene… lasciamo la patria! Ci vivano pure coloro che cambiano il nero in bianco. Io che ci farei? Non so mentire io.. mi affretto a spiegare quale razza di gente è più accetta oggi e che tipi voglio specialmente tener lontani...».
Potrebbe benissimo essere uno dei messaggi che, a migliaia ricevo, su Facebook o, per mail al mio indirizzo di posta elettronica. Ma non lo è. Potrebbe essere il legittimo, disperante, sfogo di uno dei tanti, giovani o meno giovani, che scappano disillusi da questa inzaccherata impaludata patria Italia, che un dì ci rese orgogliosi per Arte e Poesia, col genio tutto italiano di Michelangelo, Caravaggio, Botticelli, Foscolo, Manzoni, Leopardi, Pirandello. Potrebbe essere l’unico testamento possibile di chi non ha patrimoni di beni materiali, di cui disporre, ma solo patrimoni d’ amarezza delusione dolore, olografati più per una intera generazione che per i propri figli. Ma non lo è.
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Giovenale
Potrei far finta che lo sia, ma non faccio finta, non baro, né mento. Semplicemente, e qui sveliamo la paternità del periodo virgolettato, è un “messaggio” di 2000 anni fa! Perfetto, perfettamente moderno per la miseria, la fragilità, il panico dei nostri giorni. Panico da licenziamento, panico da scippo esistenziale, panico da pubblica e politica, vendita all’ «asta» di un Paese, l’Italia, che non ha fallito nelle sue magnificenze naturali, non ha fallito nelle sue magnificenze intellettuali, non ha fallito in quel fescenninico, or plautino, or platonico, italo pensiero che, emozionalmente, ci rivendica italiani. Reo d’aver fallito solo in una politica, sciaguratamente, secondo-repubblicana.
L’«addio patria» virgolettato appartiene a Umbricio, che 2000 anni fa scappa da Roma, città dove potevano ormai vivere solo turpi figure di arricchiti senza scrupoli, che cambiando «nigrum in candida, il nero in bianco», avevano edificato il loro impero su libero spaccio di brogli e imbrogli, fandonie contrabbandate per princìpi, rapine propalate per progetti. Gentaglia, espatriata dalla morale, rimpatriata nel palcoscenico del farabuttismo individuale, meglio se familiare, meglio se costruito per delinquenziale albero genealogico.
Non c’è più aria a Roma perché vi resti Umbricio e quei tanti come lui che, “clientes” per bisogno, non sono affatto graditi ai nuovi ricchi, sensibili solo al fascino del ricatto, al leproma della corruzione. Non sono affatto graditi a ciarlatani, “pranoterapeuti”della politica, vannamarchisti del raggiro e del plagio.
«Io non so mentire, mentiri nescio- insiste Umbricio (Giovenale, Satire III) – se un libro è brutto non so lodarlo né richiederlo.. nessuno mai sarà ladro con la mia complicità, me nemo ministro fur erit…. chi si apprezza oggi se non il complice? E che dire del fatto che gente, espertissima nell’adulare, loda lo stile di un illetterato… e ammira una voce strozzata, peggio della quale non strilla nemmeno il gallo da cui la gallina è maritalmente becchettata? ».
Scappa Umbricio da una Roma con cotali personaggi, banditori di rapina e raggiro, come scappano molti da una Italia che, come seconda carica del Senato, vedeva e vede Rosi Mauro, oggi sconsacrata leghista, ieri pasionaria adulata, plurilaureata all’estero, oggi, plurilaureata nella Facoltà dell’ignoranza, dipartimento di sintassi-penia, «ignorantissima» per sua ammissione, e noi non fatichiamo affatto a crederle. A credere che primo e ultimo libro letto dalla signora in questione, vicepresidente del Senato italiano!, sia stato l’abbecedario nel lontano tempo delle scuole elementari.
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