«Discriminata e osteggiata perché cieca»
FRANCESCO DI MARE
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Essere unici al giorno d’oggi è difficile, soprattutto nel bene. C’è chi s’impegna ogni giorno per esserlo nella vita e nel lavoro, ma c’è poi chi questa unicità l’ha avuta consegnata dal destino. In questo caso, un destino bastardo, cattivo, inesorabile che a Viviana Randazzo ha fatto conoscere quanto sia difficile vivere senza vedere. Vedere con gli occhi s’intende, a differenza del cuore e della testa che vedono anche oltre certi ostacoli.
Viviana è di Agrigento, ha 35 anni, è non vedente ed è, attualmente, l’unica insegnante italiana di Latino e Greco cieca. «Puoi chiamarmi cieca non ti preoccupare, non mi offendo» dice, seduti attorno a un tavolo del bar Saito, accanto municipio della città dei Templi. La storia di questa giovane donna agrigentina è davvero emblematica di come si possano ottenere straordinari risultati nella vita, a dispetto dell’indifferenza e, soprattutto, dell’intolleranza verso i diversamente abili.
Viviana, da dove cominciamo?
«Da come sono diventata cieca, anzi da come mi hanno fatto diventare cieca. Sono nata prematura al sesto mese, mi hanno messo nell’incubatrice e intubata, ma non seppero dosare l’ossigeno, causando il distacco della retina. Il distacco si scoprì quando avevo compiuto sei mesi, perché prima pensavano che ci vedessi bene e fossi solo capricciosa. I miei genitori ovviamente fecero causa all’ospedale, e oggi sono qui, a raccontarvi la mia vita da cieca che insegna nei licei».
Prima, però, un cenno ai genitori non lo facciamo?
«Mia madre Giusy e mio padre Pino sono eccezionali. Mio padre mi segue nella mia crescita umana e professionale, ancora oggi è il mio assistente d’aula. Quando sono andata all’Università è andato in pensione per potermi seguire negli studi. Mi sono laureata con 110 e lode alla Cattolica di Milano in Lettere Antiche e a settembre dello stesso anno, il 2017 ho iniziato a insegnare al Pitagora di Agrigento».
Di strada nei hai fatta…
«Mi trasferii a Milano con una supplenza all’istituto Tito Livio per insegnare, ovviamente Latino e Greco. L’impatto fu bellissimo, mio padre stava con me in classe per aiutarmi nello svolgimento delle lezioni. E’ una figura indispensabile,
trattandosi della figura di assistente d’aula, prevista dalle norme».
Papà Pino infatti ha deciso di trascorrere il resto della propria vita al fianco di questa figlia che dal dramma della disabilità permanente, causata da un errore medico, seppe quasi contagiarlo con la propria voglia di vivere e sfondare
nella vita. Pino Randazzo, nato a Milena nel nisseno, dopo una vita in banca è sempre al fianco di Viviana, in classe come al bar, anche se durante l’intervista ha voluto allontanarsi, all’insegna dell’umiltà dei grandi.
Il tuo girovagare nelle scuole sotto la Madonnina è continuato, ma non sono state tutte rose e fiori…
«Andai poi al magistrale “Carlo Tenca, sempre di Milano dove però le cose cominciarono ad andare male per i rapporti con alcuni colleghi. Quindi in due dei Licei più famosi d’Italia. Mi accorsi che molti alunni erano insofferenti ed evidentemente qualcuno di loro ne parlò coi genitori che andarono a lamentarsi dal preside, ritenendomi troppo rigida e che davo voti troppo bassi. Un giorno il preside venne in classe e mi disse che voleva verificare come insegnassi. Fu
davvero un brutto momento, ci rimasi malissimo».
Nel febbraio del 2018 passasti all’altro liceo top del capoluogo lombardo…
«Esatto, qui avevo una classe che doveva fare la maturità e anche qui alcuni scappavano dal preside perché non gradivano i voti bassi, perché non erano contenti del voto. In queste scuole dare voti bassi non è, diciamo, usuale».
Questi atteggiamenti nei tuoi confronti a cosa pensi siano dovuti?
«Al fatto che sono cieca. C’è troppa ostilità. Alcuni, anche in una delle scuole in cui ho insegnato a Milano, mi hanno detto che la laurea me l’avevano regalata. Se il 4 lo metto io è discutibile, mentre se il 4 lo mette un vedente tutto passa in carrozza e non si discute con la stessa virulenza.
Non è giusto. Io ho studiato e studio, sono laureata, ho già la mia esperienza e in Italia non si può parlare ancora di intolleranza verso i docenti non vedenti. Quelli dell’Unione italiana ciechi sono attenti a tante categorie, ma non ai docenti non vedenti. E dire che Omero era cieco. Non voglio essere commiserata, voglio stimolare tutti sulla possibilità che ognuno può avere nella vita, impegnandosi in qualcosa.
C’è troppa ignoranza nel nostro paese, ci sono ragazzi che non conoscono la storia, non sanno cosa sia “Il Gattopardo”, pensano che Pirandello sia di Siracusa. Io non mi sento l’insegnante più brava del mondo, ma mi sento come se avessi le gambe legate – tra l’altro vado anche in bicicletta – non posso tirare fuori dai ragazzi quello che vorrei. Voglio continuare a insegnare, ovviamente nei Licei, perché è bellissimo».
Oggi sei disoccupata, essendo ancora nel limbo delle supplenze, ma aspetti con fiducia una cattedra dietro la quale andare a sedersi…
«La tartaruga cammina a testa alta e io sono fiera di quello che sto facendo. Ho anche creato un gruppo Whatsap noto come “I tifloelleni” composto da docenti non vedenti classicisti, con i quali ci scambiamo idee e opinioni sulla nostra realtà e non solo.
Viviana, quali sono i tuoi sogni nel cassetto?
«Tornare a insegnare latino e greco, respirare l’atmosfera della classe, del contatto con i colleghi, anche con quelli che non tollerano la mia presenza perché sono cieca.
In Italia c’è ancora tanto da fare sul fronte della tolleranza nei posti di lavoro verso i diversamente abili e la scuola è uno di questi luoghi dove urge una rivoluzione culturale».
Papà Pino aspetta Viviana fuori dal bar con la consueta umiltà e l’orgoglio di chi segue una figlia alla quale il destino ha tolto la vista con gli occhi, ma non la capacità di andare oltre gli ostacoli, in primis quelli mentali e culturali di certa
Italia dove l’insegnante di Latino e Greco è meglio che ci veda e che ti faccia promosso pure se non lo meriti.
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