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Archive for 25 novembre 2014

Tari più conveniente? Bastava “copiare”!

Tariffe congrue, per l’anno 2015 ovviamente!!!

Vito M.

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Vi propongo di adottare il regolamento TARI del Comune di San Biagio ha molti punti di forza, è semplice da capire, poche pagine, tariffe congrue, per l’anno 2015 ovviamente!!!

http://www.finanze.it/dipartimentopolitichefiscali/fiscalitalocale/tributi_locali/dati/2014/23483_DIMUNIC-19ag14h778d.pdf

Poi, vi voglio far riflettere, nel circondario ci sono molti comuni simili al nostro, molti hanno tariffe simili tranne il nostro che ha un GAP molto elevato, guardate voi stessi, questo è il link

http://www.comuni-italiani.it/085/010/ici.html

(*) Sotto la scritta gialla c’è il link che porta direttamente al MEF (Ministero Economia e Finanza) dopo si possono visualizzare/scaricare le varie delibere con i vari regolamenti.

e-io-pagoLa legge ha dato molto margine di manovra ai comuni, infatti abbiamo svariate tariffe.

Sotto ancora ci sono i link dei comuni limitrofi a Milena, anche quelli della provincia di Agrigento, basta cliccare sul comune e poi sul collegamento per visualizzare un altra deliberazione con il regolamento.

A mio giudizio questo regolamento si poteva scrivere meglio, e se lo accostiamo a quelli degli altri comuni limitrofi troviamo molte disparità.

Buona Lettura.

Vi inserisco, a gentile richiesta, l’estratto della pagina 12 del file PDF suddetto.

Estratto

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LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE SI RITORCE SU DI TE

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25 novembre 2014 ore 19:12

25 novembre 2014 ore 19:12

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Silvana Grasso

Silvana Grasso

La colpevole innocenza di un genitore che porta alla tragica fine di un giovane

Silvana Grasso

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Impensabile che estrema bruttezza ed estrema bellezza possano convivere in un amplesso apollineo-dionisiaco, che solo un daimon può aver reso possibile, un dio, perché solo un dio può quel ch’è impensabile, impossibile, alle umane effimere menti. Impensabile, eppur succede.

totoQuesto a Gela succede. La rozzezza, la bruttezza di oggi, convivono con una Bellezza che è, ben oltre, la bellezza e l’archeologica d’una greca polis, teatro di genti e Poeti, che anche il grande Eschilo onorò dei suoi versi, e vi morì, concimando della sua carne poetica l’arsura delle canne, la sabbia rovente e d’oro tra vagina di dune e ginestre. La malia, la fatturazione, la fascinazione di questa graeca urbs bellissima è ben oltre il dato storico-archeologico, innegabile, ben oltre la iattura d’una politica che ha, nei secoli, occultato, scelleratamente, la Bellezza, cui non era stata per tempo educata.
La sua Bellezza è oltre la sua Storia, è in quell’aura di perenne sacertà, profezia, mitologia, che ci fa restare sospesi tra Mito e Cielo, oltre i veleni chimici dell’ industria, oltre la stessa immondizia, e non pensiamo all’ immondizia differenziata e non, pensiamo all’immondizia etica, per cui non c’è discarica.
LaIMO2001B2020141123CTTutto questo Totò Scerra non poteva saperlo. Lui, nato a Gela, studente al secondo anno d’un corso per idraulici, che potesse affrettarne lavoro e matrimonio, magari intorno ai venti, lui che di anni ne aveva solo diciassette, non poteva saperlo questo, né serviva sapere l’eziologia d’una simile Bellezza. Non ha avuto neanche il tempo di capire che moriva, mentre il suo motorino lo schizzava a terra, tra via Tevere e via Venezia. Che per l’ultimo istante lo vedeva quel cielo di Gela, tratturato da tramonti magici, da quelle varici rosse, che ne attraversano l’orizzonte come la coscia d’una femmina. Totò sapeva solo che era bella la sua città, bella e difficile. Ma impossibile farne a meno. Per lui, senza lievito di Mito e Letteratura, come per noi, contaminati da Mito e Letteratura, impossibile farne a meno. Come impossibile capire se più è stupro o atto d’amore quel cordone emotivo che, inutilmente, cerchiamo da anni di recidere. Per magia, una magia di quelle raccontate dalle favole, ricresce «più che prima» e, poco a poco, diventa fune al collo, cappio per moribondi che non vogliono morire.
Perché parliamo di Totò, vissuto così poco che solo il suo quartiere«Settefarine», alla periferia di Gela, potrebbe raccontarcelo bimbo, adolescente. Non oltre. Perché oltre non è andato, se non con la fantasia o la fantasticheria. Acheronte lo ha chiamato a sé, quasi bambino, seppur già innamorato, già fidanzato. Settefarine è un piccolo mondo che ancor mantiene inalterate le usanze siciliane d’un secolo fa. I giovani si sposano poco più che ventenni, fanno figli, che sembrano loro fratelli, e col mondo di Gela-città «colloquiano» per il comune uso di tablet, iphone, facebook. Questa la minima comune lingua con l’altra Città, quella che sforna laureati, «annozionati» di greco latino matematica estimo.
LaIMO200012020141123CTParliamo di Totò perché la sua pazzesca morte ratifica la perennità inconsunta del Mito. Totò, sul suo motorino, si è scontrato (tragedia nella tragedia) con il padre della sua ragazza, trasformando, in un solo secondo, un suocero galantuomo in un «colpevole innocente». Uno dei capisaldi del «sentimento del Tragico» greco è proprio la colpevole innocenza che, per volontà d’un dio, offeso dalla hybris d’un mortale, punisce lui, la sua innocente stirpe nelle annate senza fine, proprio all’infinito, e non c’è lysis che non venga dal dio medesimo. Questo a rimarcare la distanza tra umano e divino, mortale e immortale, spesso dimenticata, obliata, dagli eroi che, per gesti eroici straordinari, perdono di vista la loro effimera natura umana, e si credono pari agli dei, dispensieri del Bene e del Male, giustizieri all’occorrenza«l’ equilibrio e il rispetto degli dei sono la cosa più bella: per giunta, sono, credo, il possesso più avveduto per gli uomini che sappiano servirsene. (Euripide, Le Baccanti)
LaIMO2001A2020141123CTPotremmo citare infiniti miti, ma scegliamo il mito d’ Agave, innocente assassina del figlio suo Penteo. Scegliamo Agave perché nulla è più inaccettabile d’un figlicidio, nulla più ripugnante alla coscienza di credenti o non credenti, onesti o delinquenti, bianchi o neri.
Nella tragedia euripidea «Le Baccanti», crocevia di conversioni e convessioni, implosioni ed esplosioni, filosofico-religiose, Agave è il dominus delle Menadi-Baccanti, le devote del dio Bacco-Dioniso. Creatura assai poco «olimpica», eccedente la comune «divinità», Bacco genera proseliti e diffidenti nella sua ormai sconfinata diaspora. A differenza di Zeus, rozzo marcantonio dell’accoppiamento animale, negato all’arte della seduzione, parimenti votato alla carne femminile o maschile, Dioniso è geniale nel sedurre, aristocratico, creativo. Generoso con chi gli si sottomette, implacabile con chi gli è ostile, a tal punto che non esita a servirsi d’una madre, sua fidata baccante, per la sua feroce vendetta. Vendetta atroce, per cui una madre, senza averne coscienza alcuna, uccide un figlio, sotto l’invasamento causato dal dio; invasamento pari, oggi, ad uno sballo da cocaina o lsd.

 

Le illustrazioni di questa pagina sono di Totò Calì

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LA CHIESA MADRE

di Giuseppe Nalbone e Salvatore Capone

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racalmuto mdriceDedicata all’Annunziata, la Chiesa Madre, in origine era dedicata a Sant’Antonio Abate; mutò il nome in chiesa di Maria SS. Annunziata intorno al 1620 quando il sacerdote Santo Agrò fece costruire a sue spese l’attuale Cattedrale, proprio nei pressi della piccola chiesa di Sant’Antonio.

E lo stesso sacerdote Agrò fece dipingere il quadro con soggetto Maria Maddalena,  firmato appunto da Pietro D’Asaro detto il “Monocolo di Racalmuto”. Del D’Asaro la chiesa conserva, oltre all’autoritratto, due tele: La Madonna della catena e L’Immacolata con i Santi Francesco e Chiara.

Tre navate che vennero abbellite nel corso dei decenni e che ora presentano un barocco settecentesco. Nella volta, infatti, è riprodotto in bassorilievo l’immagine di Dio che incorona la Madonna, Madre della Chiesa. Grande importanza i lavori di restauro degli anni Trenta per volontà dell’arciprete Mons. Giovanni Casuccio.

Tra gli altari lignei conservati, di estrema importanza quello dedicato a Santa Rosalia, la patrona di Racalmuto.

Nell’ultimo decennio del secolo scorso la Matrice viene chiusa per via di numerosi interventi strutturali. Grazie all’interessamento dell’arciprete Mons. Alfonso Puma nel 2006 la Regione Siciliana finanzia la ristrutturazione della Chiesa che riapre al culto il 31 agosto 2008, dopo un proficuo lavoro di volontariato di decine di racalmutesi che hanno riportato il luogo sacro, con la guida dell’arciprete Mons. Diego Martorana, al suo antico splendore.

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«Il degrado della zona del Dubini»

Enzo Scarlata

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d5Seguo da qualche tempo sulla stampa locale le vicende che riguardano e hanno riguardato il Dubini, il suo parco, il suo degrado e, non ultima, il diniego di ingresso ai volontari benemeriti di Legambiente che chiedevano solo di fare un po’ di pulizia. Non è nelle mie intenzioni entrare nel merito delle varie vicende che hanno interessato il recupero della struttura. Di ciò cominciai a sentirne parlare nel giugno del 2004 (purtroppo non sono in possesso di notizie precedenti), quandoci fu un tentativo di stipulare una convenzione con l’Associazione “Forever” onlus per la cessione in comodato d’uso che avrebbe permesso a questa Associazione di utilizzarlo per i suoi scopi sociali, specie in favore dell’infanzia. Non mi pare che la cosa sia “quagliata”.

E qui mi fermo perché non ho altro da dire se non per raccontare una favola che si può senz’altro intitolare “C’era una volta il Dubini” e che la può raccontare è qualcuno che è a conoscenza, nelle grandi linee, delle vicende, concluse, con il trascorrere degli anni, con la sua distruzione. Dipendente della sede Inps di Caltanissetta dall’Aprile 1968 al 1997, ebbi molte occasioni di recarmi in questa struttura, allora gestita amministrativamente da questo Istituto, fino a quando, disgraziatamente, venne costituito in Ente ospedaliero con L. R. del Luglio 1973 per il disposto di una legge nazionale del 1968. L’Ospedale venne consegnato nel Dicembre del 1973 ed è da qui che inizia il suo degrado.

d1Era una struttura meravigliosa, costantemente soggetta a tutela manutentiva. Ordine, igiene e pulizia regnavano sovrani, non fosse altro perché “ospitava” un certo tipo di malati (evito di usare quella brutta sigla che li distingueva). Sui pavimenti tirati a lucido dal personale di pulizia vi si poteva mangiare. Vi operavano medici, tecnici e impiegati di prim’ordine, operai (allora si diceva così) qualificato tra elettricisti, idraulici, giardinieri e quant’altro. E che dire dei cuochi, veri chef di ristoranti a 5 stelle. I prodotti utilizzati, dalla carne al pesce, dalle verdure alla frutta, ai dolci dovevano essere di prima qualità e ciò veniva accertato continuamente dal direttore dell’Inps, a tutto vantaggio dei degenti.

Ma è sul parco che voglio ritornare. Vi crescevano piante rare, gli alberi venivano potati con regolare scadenza. Le aiuole erano sempre fiorite e pulite grazie all’amorevole cura che vi mettevano i giardinieri, quelli con la “G” maiuscola, Le siepi venivano sfoltite e potate con geometrica precisione. Uno di questi, a cui posso senz’altro attribuire la qualifica di “topiario” (arte topiaria, quella dei giardinieri di potare in forme geometrico o bizzarre piante e arbusti; cfr. Zingarelli) continuo la sua opera presso il S. Elia dove certi alberi venivano potati in modo da farli sembrare delle sculture, come quelli si possono vedere nel film “Edward, mani di forbice”. Ai tempi della famosa “Coppa dell’Amicizia” a cui l’Inps partecipava con notevole successo, grazie anche al notevole apporto dei dipendenti del Dubini (vi partecipò anche chi scrive, solo per una partita a causa di infortunio di gioco). I componenti della squadra andavano a fare footing proprio dentro il parco per poi passare al campetto dell’annessa Azienda Agraria, come era allora chiamata la zona limitrofa e posso assicurare che ne uscivamo rigenerati. Sento ancora l’odore di resina che colava dai pini.

E chiudo con un episodio in cui sono stato coinvolto e risale a tanto tempo (purtroppo non ricordo l’anno).

(altro…)

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I democristiani stavano con i preti perché i soli disposti ad assolverli?

 

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