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Archive for 11 novembre 2014

Viaggio tra le antiche osterie un tempo frequentate in città specie dai minatori. Quasi tutte erano ubicate nel centro storico. Quella volta che zolfatari pestarono l’oste accusato di avere annacquato il vino…

Insieme per un “tocco” di vino

FRANCO SPENA

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untitledAnche a Caltanissetta le osterie, un tempo, si può dire che erano per molti luogo dove si poteva passare la serata bevendo vino e mangiucchiando frattaglie, tra una chiacchiera e l’altra, con seguito spesso di sfoghi dopo l’inevitabile ubriacatura, il tutto con contorno di risate e divertimento, ma talvolta anche con risvolti poco piacevoli.
Le osterie si possono, dunque, considerare una sorta di antesignane degli odierni bar-pub, ma solo per uomini, dove ci si ritrovava in compagnia per ingannare piacevolmente le serate e, soprattutto, farsi delle solenni bevute.
E a proposito di bevute, da ricordare quelle che rientravano nel cosiddetto”tocco”, un gioco durante il quale si beveva il bicchiere di vino “tutta ‘na tirata”, in un solo colpo, e nel quale gli avventori si mettevano d’accordo facendo squadra per fare ubriacare qualcuno di loro o per farlo bere il meno possibile.
Soprattutto per i nostri minatori l’osteria, “‘a taverna” come veniva chiamata, era il luogo di ritrovo naturale quando il tempo glielo consentiva dopo il duro lavoro passato nel sottoterra. Le osterie infatti erano, come detto, ambienti per soli uomini dove si beveva mangiando spesso ceci, fagioli, brodo di carne, o ancora coda bollita, piedini di maiale, “carcagnola”, trippa “a stricasali”, interiora e sanguinaccio, per dire di alcune vivande.
imagesGC2CX7MTDurante il periodo pasquale si era soliti mangiare anche uova sode, lattuga e carciofi.
Molti, a tarda sera, uscivano dall’osteria traballando e arrivavano a casa camminando a zig zag. Non era insolito, a seguito della solenne sbornia, vedere qualcuno mettersi anche a piangere e, chiamando l’amico “ma frà”, mettersi a raccontare problemi e disgrazie.
“Ti vugliu beni cumu un frati” diceva qualcuno nello sfogo, rivolgendosi a chiunque si trovasse nell’osteria col quale attaccava bottone.
Ma talvolta c’era anche il risvolto meno piacevole dell’ubriacatura, cioè quando uscendo dalla bottega, magari per motivi futili, qualche avventore poteva mettere mano al coltello.
Quando era il periodo, si metteva in piazza, davanti al chiosco di Giannone, il fratello di “Giuvanni”, uno storico fruttivendolo che si trovava all’angolo tra la Badia e la via Re d’Italia, ” ‘a strata ‘e santi”, che vendeva con un’ape le “acculazzate”. Molti ne compravano alcune, le portavano in osteria e le mangiavano, tra un bicchiere di vino e un altro, intingendole in un pizzico di sale.
Di osterie ce n’erano diverse in città. La più antica era quella di Carmineddra, prima in via Palermo, poi a “Sant’Antonino”, l’attuale piazza Marconi; ma ce n’erano altre disseminate nel centro storico.
Tra queste c’era quella di Donna Titina in via Arco Calafato, molto nota per la bontà del suo brodo di carne.
Altre erano tra la via Palermo e la via Alaimo nel quartiere Provvidenza, e la via XX Settembre. Ce n’erano ancora nelle stradine tra la via Re d’Italia e corso Umberto e alla “strata ‘a foglia”.
Tra l’avventore e l’oste si veniva a creare un rapporto confidenziale e di amicizia tanto che quest’ultimo veniva incontro ai gusti dei suoi clienti abituali facendo credere di riservare un trattamento speciale per ognuno di loro, servendo spesso, a loro insaputa, del vino annacquato in modo che non si ubriacassero subito e si trattenessero più a lungo “a taverna”.
untitledPer i frequentatori era quasi un orgoglio non bere acqua perché, come si dice, “l’acqua si nni va nni spaddri”. Così capitò che uno dei minatori che frequentava una taverna con gli amici, si ammalò di silicosi, una malattia che colpiva spesso gli zolfatai e, ricoverato in ospedale, di conseguenza gli riscontrarono quella che veniva detta l’acqua nelle spalle.
Gli amici non riuscivano a tacitarsi di come fosse possibile una cosa simile, poiché il collega, assieme a loro, beveva soltanto e rigorosamente vino. Non ci potevano credere. Rintracciarono il medico che lo curava e questi gli fece vedere che, tirandola con una siringa, usciva fuori dalle spalle dell’acqua.
Davanti all’evidenza, si convinsero che l’oste della taverna che frequentavano li avesse ingannati non offrendo loro del vino sincero ma abbondantemente annacquato.
Fu così che, sentendosi imbrogliati, quando l’amico fu dimesso dall’ospedale, si recarono in osteria, presero a botte l’oste, misero a soqquadro la taverna e ruppero a bastonate molte botti di vino.

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Anche il sindaco Dacquì vuole evitare allarmismo

«Nelle miniere di Bosco Palo normali valori radioattività»

Carmelo Locurto

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Miniera Bosco, San Cataldo - foto Lorenzo Barone

Miniera Bosco, San Cataldo – foto Lorenzo Barone

Serradifalco. Un plauso alla nota del Procuratore Sergio Lari sulla delicata vicenda dei siti minerari dismessi è stato espresso dal sindaco Giuseppe Maria Dacquì. «L’intervento del Procuratore Lari, oltre a chiarire e precisare il reale stato delle cose, è stato un dovere istituzionale; il suo richiamo a evitare allarmismi è stato un atto doveroso».
Il primo cittadino, riprendendo le affermazioni del procuratore secondo cui “è stato accertato che l’unica fonte attiva d’inquinamento è costituita dalle migliaia di tonnellate di amianto presenti a Bosco, riconducibili al crollo delle vecchie strutture in eternit”, ha poi sottolineato: «Le sue parole sono risultate ancor più chiare ed esaustive delle campagne di rilievi condotte dall’Arpa nel 2012 e che avevano mostrato che non vi era alcun aumento della radioattività ambientale rispetto ai valori di fondo naturali nell’aria, nel terreno e nelle acque».
Giuseppe Maria Dacquì ha poi rilevato: «Vale comunque la pena ricordare che il sito minerario dismesso è proprietà o nella disponibilità della Regione Siciliana che tramite i suoi assessorati assume gli obblighi d’intervento del caso». Nel rammentare che la Procura ha anche chiarito che “l’intera area in cui insistono questi siti è stata oggetto di ulteriori accertamenti per verificare la presenza di radioattività ambientali anomali collegate alla attività estrattiva o al presunto smaltimento illecito di rifiuti” e che “i prelievi di campioni hanno accertato che nel sito di Bosco Palo non vi è alcun aumento della radioattività ambientale rispetto ai valori di fondo naturale nell’aria e nelle acque di falda”, il sindaco ha poi concluso: «Anche riguardo la presunta maggiore incidenza del tumore polmonare ipotizzata in una relazione del registro tumori di Ragusa e Caltanissetta è emerso che, “sul piano epidemiologico, l’elaborato è privo di evidenze scientifiche utili a chiarire se l’incidenza di tumori maligni nella zona del Vallone possa essere in relazione causale a fenomeni di contaminazione ambientale”».

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San Martino fra tradizione e vino novello

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LaIPS0304P1520141109CTL’11 novembre la festa che celebra il vescovo di Tours, noto come San Martino. Proverbiali la sua umiltà e la sua carità che hanno dato vita ad alcune leggende, una delle quali legata alla cosiddetta estate di San Martino, la quale si manifesta, in senso meteorologico, all’inizio di novembre e dà luogo ad alcune tradizionali feste popolari.
La leggenda narra che Martino, figlio di un ufficiale dell’esercito romano, a causa di un’ordinanza dell’epoca divenne anch’egli soldato romano e trovandosi, in una grigia giornata d’autunno, alle porte della città di Amiens con i suoi soldati incontrò un mendicante seminudo. D’impulso tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. Miracolosamente il freddo si affievolì e comparve il sole: fu quella la prima estate di San Martino.
Questa data, simbolicamente associata alla maturazione del vino nuovo, ed alla «svinatura» – da qui il proverbio “A San Martino ogni mosto diventa vino” – è quindi un’occasione di ritrovo e festeggiamenti nei quali si brinda, appunto, stappando il vino appena maturato e molte cantine aprono le loro porte alla degustazione. Il proverbio «S’ammazza lu porcu e si sazza lu vinu» è legato alla tradizionale uccisione del maiale che avviene in alcuni paesi per farne prosciutti, salami e salsicce.
Sagre e feste in questo giorno, occasione buona per gustare le classiche caldarroste e del buon vino novello, ma anche il pane casereccio, ed i dolci tipici di questa ricorrenza come i biscotti di San Martino.
Nel Palermitano si mangia u viscottu di San Martino abbagnatu, i biscotti, realizzati con una forma rotondeggiante ed aromatizzati con semi d’anice, vengono gustati bagnati nel vino moscato. Questi tipici dolci, che abbondano nelle pasticcerie siciliane anche un mese prima della ricorrenza, possono essere di vari tipi: il tricotto (croccante e friabile, destinato all’inzuppo), il rasco (pasta morbida, inzuppata di liquore, destinata ad essere riempita di crema di ricotta) e la versione del biscotto decorato (pasta morbida, scavato e riempito di conserva, glassato e merlettato con zucchero e decorato con un cioccolatino e frangette d’argento).

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Mia dolce Cinthia…

Cinthia

di Briciolanellatte

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“Mia dolce Cinthia,
finalmente ti scrivo dopo mesi dall’ultima volta che ci siamo visti.
Devo essere sincero: ci sono rimasto piuttosto male non incontrarti più e avevo deciso di rispettare la tua decisione, come d’accordo.
Ma poi, durante tutto questo tempo, mi sono tornati in mente i bei momenti passati insieme. Ho ripensato in particolare alla prima volta che ci siamo incontrati, sul 15, su cui ero salito anch’io per far un giro per Alvona e tu era lì che invece cercavi una strada per un colloquio di lavoro.

Ti ricordi? Avevi sul volto preoccupato un’espressione curiosa, intensa e tenera e, d’un tratto, mi hai rivolto la parola. Lo facesti in modo che, ti confesso, mi si annebbiò il cervello. Forse mi chiedesti se quella era la via taldeitali ma a me suonò come: ‘ti andrebbe se ora io e te scappassimo insieme?’
Così sono sceso, dietro di te, anche se era mia attenzione proseguire; e siamo andati tutti e due a quel colloquio dove, non so per quale motivo, ho improvvisato la parte del tuo ultimo ex datore di lavoro costretto per ragioni economiche a ridurre il personale, ma deciso a raccomandare le tue doti professionali. Ci siamo divertiti un sacco. Ma poi il tizio con cui parlammo non ti piacque e rifiutasti un lavoro già tuo.

Quelle che sono seguite sono state ore indimenticabili; ci sembrava così naturale perderci per la città parlando e scherzando. Sei una ragazza dolce, appassionata e sai ascoltare con quei tuoi occhioni tristi color del miele. Accidenti se mi manchi.
E così, quando a distanza di qualche settimana sono ritornato ad Alvona, ci siamo rivisti davanti all’anfiteatro, dove ci eravamo dati il secondo appuntamento. Eri bella più che mai e mi sembravi tanto felice di vedermi. E dire che potevi anche non venire. Non ci eravamo infatti mai dati il rispettivo numero di telefono. Avevamo pensato che sarebbe stato più semplice così, qualora non avessimo voluto più incontrarci: sarebbe bastato saltare l’appuntamento convenuto la volta precedente, senza dare troppe spiegazioni, e tutto sarebbe finito lì. In quei giorni, chissà perché, ci sembrava un’idea romantica, persino un gioco, anche se, in cuor nostro, sapevamo che non ne avremmo mai fatto nulla perché eravamo certi che avremmo continuato a frequentarci. Ma così purtroppo non è stato. La terza volta sei mancata all’appuntamento, come sai, e io mi sono sentito morire.

A distanza di tempo mi sono convinto che non potevano essere insincere le tue parole, né i tuoi baci, né ciò che abbiamo provato l’uno per l’altra; inoltre c’era la possibilità concreta che tu non fossi venuta solo per un mero contrattempo, un disguido che non mi hai potuto comunicare proprio perché non avevi il mio numero di telefono. E questo pensiero ora non mi lascia più dormire.
È per tale ragione che ti invio questa lettera. Lo so, fa molto antico, ma non ho altra scelta in mancanza di altri recapiti. Per fortuna è successo che ti ho accompagnato fino a casa: ciò mi ha dato la possibilità di memorizzare il tuo indirizzo. Almeno quello. Insomma, vorrei evitare che uno stupido contrattempo si metta crudelmente tra di noi.
Scusami, sono stato un insensibile a credere esclusivamente che non volessi più vedermi. Il mio stupido amor proprio mi ha fatto un brutto scherzo.
Ti penso e ho tanta voglia di vederti. Scrivimi, ti prego, o telefonami a questo numero. Un bacio.”

Piegò la lettera nella busta e andò subito alla posta per spedirla. Non poteva aspettare un giorno di più e la inviò con una tariffa tale che ci mettesse il più breve tempo possibile ad arrivare.

(altro…)

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Mala tempora currunt

Alluvione in Liguria: due dispersi a Leivi, Chiavari sott’acqua

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ACQUA DA TUTTE LE PARTIDue dispersi a Leivi, decine di frane, Chiavari allagata: questa notte il nubifragio ha colpito duramente il Levante della Provincia di Genova. I due dispersi a Leivi, nell’entroterra di Chiavari, sono marito e moglie che vivono in una casa travolta da una grossa frana precipitata da una collina. Sono in corso le ricerche. Nella zona, in black out elettrico, gli smottamenti di terreno sono decine.

Chiavari è stata allagata dall’esondazione dei torrenti Entella e Rupinasco: le acque hanno invaso negozi, scantinati e piani bassi delle abitazioni. Nelle strade il livello dell’acqua ha raggiunto il metro e mezzo. I vigili del fuoco sono intervenuti con reparti di sommozzatori, gommoni e con un mezzo anfibio, portando in salvo decine di persone, rimaste intrappolate negli edifici e nelle strade. In autostrada è chiusa l’uscita a Lavagna.
Sulla linea ferroviaria una frana si è sui binari tra Zoagli e Chiavari, bloccando un Intercity Milano – Livorno. Il treno è stato trainato fino a Rapallo, dove verrà istituito un servizio sostitutivo.

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LINO GIUSTI: «il fenomeno IKEA è tutto una montatura»

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Per uno che è nato il primo d’aprile il destino è segnato: scherzi, battute, lazzi, e, ancora, scherzi. «Sono sempre alla ricerca di nuovi spunti umoristici- confessa, infatti, Lino Giusti– nuove battute, che freneticamente trascrivo in numero copiosissimo su qualunque foglio di carta mi passi tra le mani, persino sulla carta igienica!»

Se a ciò si aggiunge che trattasi di un siciliano, allora il quadro si fa completo. Perché, come spiega, «Il popolo siciliano ha dimostrato, attraverso i secoli, di possedere nel proprio genoma e, direi, anche nel proprio gecognoma, il senso dell’umorismo. Da Epicarmo di Siracusa, che nel 500 a.C. istituì il tipo del “Buffo” nel teatro comico italiano, alla maschera di Peppe Nappa, il servo estroso e svagato, che causa delle situazioni comiche culminanti in solenni randellate.

Per continuare, poi, con  Pirandello, Angelo Musco, Pino Caruso, Turi Ferro, Franco e Ciccio, Nino Frassica, Leo Gullotta, Ficarra e Picone, Sasà Selvaggio e, dulcis in findus, la new entry Emilio Fede (a me fa ridere).»

Lino Giusti

Lino Giusti

Giusti ha finora pubblicato tre libri: “Anche i Siciliani in due tentano di ridere”(1993), “L’Irco di Noè e 3 omini in Arca”(1994)  e “L’ultimo chiuda la morta!!!” (con Antonio Di Stefano). Vi si muovono modelle “senza testa né moda”, Buddisti che si battono per la “libertà di pagoda” e kamikaze che non lasciano “nulla di attentato” (tanto se disoccupati c’è la “cassa disintegrazione”). Il futuro della scuola? Io scuolerò. E, come sono soliti dire i giardinieri, “Ed è subito serra”.

Comunicazione di disservizio:   per conoscere meglio Lino Giusti cliccare su      http://linogiusti.blogspot.it/

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Dubbi sui… Pigmei

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I Pigmei, anche se al mattino si alzano, restano pigmei?

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