Quel tragico primo maggio quando una gita in barca fece una strage di ragazzi. Ricorre il 50º della sciagura in cui annegarono sedici allievi e un chierico della Casa dei Salesiani di Marsala diretti a Mozia. Tre di quelle vittime erano del Nisseno.
I fiori recisi di Marsala: i 17 morti del 1° Maggio 1964
Walter Guttadauria
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Cinquant’anni fa, una gita in barca organizzata per il primo maggio a beneficio di un gruppo di ragazzi che da Marsala dovevano raggiungere la vicina isola di Mozia per un’escursione, sfociò in una tragedia sconvolgente: per il capovolgimento del barcone, 17 di essi morirono annegati, tra cui tre nisseni. Fu una pagina di lutto che ebbe vasta eco anche a livello nazionale, e che il prossimo primo maggio, nella ricorrenza del cinquantenario, sarà ricordata a Marsala.
Le vittime furono 16 giovanissimi allievi della Casa salesiana della Divina Provvidenza di Marsala, organizzatrice della gita, ed un chierico assistente dell’istituto. Tre vittime, come detto, erano del Nisseno: Giovanni Caravello e Rosario Mugavero, entrambi quattordicenni di Caltanissetta, e Vincenzo Capizzi, 12 anni, di Sommatino.
Quella tragica pagina è stata ricostruita, con un paziente lavoro di ricerca, da Giovanni Carovello Grasta, nipote dell’omonima vittima, che ha anche allestito tre anni fa un sito internet (I Fiori recisi di Marsala) dove ha raccolto documentazione, fotografie e testimonianze della sciagura. http://ifiorirecisidimarsala.weebly.com/
«Tutto è nato dall’aver ritrovato in casa, tempo addietro, alcuni ritagli di giornale che parlavano dell’accaduto, e quindi della tragica scomparsa del mio giovane zio», ci dice oggi Carovello Grasta, 29 anni, laureato in Teologia, che aggiunge: «Ho così ricercato ulteriore documentazione, riuscendo nel frattempo a contattare quasi tutti i familiari delle altre vittime, nei vari comuni di origine, e ciò anche grazie al sito che ho creato come punto di riferimento per la memoria di questo triste evento, da molti sconosciuto. Quel lutto colpì tutta l’Italia, lasciando pianto e dolore nelle famiglie delle vittime, ma anche dei sopravvissuti, lacrime e pianto che sono rimasti fino a oggi, dopo tanti anni, nel silenzio, che è sembrato dimenticanza».
Ma eccoci a quel primo maggio 1964 quando, dopo la messa mattutina, 92 ragazzi dai 10 ai 18 anni, provenienti da tutta la Sicilia e ospiti della casa della Divina Provvidenza di Marsala, si recano presso il versante nord della città accompagnati dai padri salesiani per salpare alla volta di Mozia, per una visita al sito archeologico. La comitiva prende posto sulle tre motobarche “Giovanni III”, “Vincenzo” e “Giuseppe Maria”, quest’ultima guidata da Giovanni Impicciché e con a bordo 34 ragazzi con il sacerdote don Calogero Falzone e il chierico Vincenzo Sagona. E’ la barca della tragedia.
E’ quasi mezzogiorno quando l’imbarcazione ha un sussulto, dell’acqua entra dalla destra, i ragazzi per non bagnarsi si spostano repentinamente su di un lato, la prua si abbassa, il capobarca si alza tentando di sistemare gli occupanti: sono attimi, la barca, sbilanciata, si capovolge, i ragazzi che si trovano sul bordo destro finiscono sotto la barca, gli altri sono scaraventati in acqua, la barca capovolgendosi colpisce alcuni, chi non sa nuotare cerca disperatamente di salvarsi.
I ragazzi più grandi con spirito eroico cercano di aiutare gli altri, e alcuni vi riescono ma a scapito della loro stessa vita (a tre di loro verrà per questo concessa la medaglia d’argento al valor civile). In circa otto minuti si consuma così la grande tragedia, con 17 morti e 14 feriti. Dalle testimonianze dei sopravvissuti (tra cui quella di Giovanni Bombaci, che salverà dall’annegamento il sacerdote don Falzone) emergerà che la barca, per l’eccessivo sovraccarico, non aveva la dovuta stabilità e per questo ondeggiava, imbarcando acqua, motivo per cui il capobarca verrà incriminato.
Giovanni Caravello aveva compiuto 14 anni da appena due mesi: figlio di Bartolo e Immacolata Basso, era nativo di Francofonte ma, appena neonato, s’era trasferito con la famiglia a Caltanissetta, divenendo nisseno a tutti gli effetti. Qui aveva frequentato le scuole elementari alla San Giusto e le medie presso i salesiani, dapprima a San Cataldo e poi a Marsala. Era il quarto di sei figli, tra cui Roberto, padre del Giovanni di oggi, e il ricordo è quello di un ragazzo altruista e di buon cuore, ammirato e benvoluto dai compagni.
Rosario Serafino Mugavero era nato a Caltanissetta in una famiglia numerosa, il padre Michele minatore, la madre Rosa Timo casalinga: era il terzo di otto figli, con il nono in arrivo. Ad appena un anno s’era gravemente ustionato rovesciandosi addosso un pentolone d’acqua bollente, ma s’era salvato nonostante lo avessero dato per spacciato. A 12 anni era stato mandato a Marsala per studiare dai salesiani. Lui sapeva nuotare benissimo ma per un avverso destino, proprio una settimana prima della gita, s’era rotto un braccio, per cui lo aveva ingessato al momento della tragedia, il che non gli aveva lasciato scampo.
Vincenzo Capizzi era nato a Sommatino da Carmelo e Maria Avarello, secondo di sette fratelli. Era un ragazzo sempre disponibile e pronto ad aiutare gli altri. La madre, quelle poche volte che, in seguito, avrebbe parlato di quel giorno maledetto, ricordava come il ragazzino anche da morto sembrava sorriderle, quel ragazzino che ogni volta che faceva ritorno a casa in vacanza diceva di volersi fare prete.
Due giorni dopo la tragedia si celebrano i solenni funerali delle 17 vittime nella chiesa di San Francesco a Marsala, ove si vorrebbe realizzare un memoriale in cui riunirle tutte, ma le famiglie si oppongono preferendo trasportare i propri ragazzi nei paesi di provenienza. A Caltanissetta vengono ripetuti, in un’affollata Cattedrale, i funerali di Caravello e Mugavero, con i feretri trasportati a spalla al cimitero “Angeli”.
Nelle sue ricerche Giovanni Carovello Grasta s’è avvalso, come detto, di varie testimonianze, tra cui quella dell’avvocato Diego Maggio, anch’egli ex alunno dell’istituto salesiano marsalese, compagno di classe di quattro delle vittime e alunno del chierico Sagona, morto a 23 anni. Maggio era scampato alla sciagura in quanto il padre s’era opposto alla sua richiesta di partecipare alla gita in barca, temendo proprio le insidie del mare.
Un approfondito lavoro di ricerca lo ha anche compiuto lo scrittore marsalese Nino Ienna, autore del libro “Gli Angeli dello Stagnone. Cronaca di una sciagura annunciata”, che è stato presentato lo scorso marzo. Ienna è anche presidente dell’associazione socioculturale “Porta d’Occidente” di Marsala, che sta curando i preparativi per la commemorazione del cinquantenario della sciagura.
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