Nel 1944 a Villalba il comizio organizzato da Pantaleone e compagni sfociò nella sparatoria ordinata dal boss don Calò Vizzini quando prese la parola Li Causi
Quando la mafia sparò sui comunisti in piazza in difesa dei lavoratori
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Da alcuni documenti dell’archivio della Federazione Pci di Caltanissetta, da me recentemente ordinati e depositati presso l’Istituto Gramsci di Palermo, sono emersi alcuni rapporti “interni” inediti sui gravi fatti di Villalba del 16 settembre 1944. Come è noto, in quella data, durante un comizio di Li Causi – da poco rientrato in Sicilia dopo lunghi anni di carcere fascista – scoppiò una violenta sparatoria, ordinata dal capo mafia Calogero Vizzini.
Dalle carte esaminate viene smentito – come da più parti fu invece sostenuto – ogni possibile “consenso” dello stesso capo mafia a tenere il comizio, “a patto che non venissero toccati gli argomenti: terra e mafia”. D’altronde non è pensabile che una forza politica come il Pci, impegnata in quel frangente in prima linea nella mobilitazione dei contadini nei latifondi, potesse accettare qualsiasi tipo di condizionamento.
In un primo momento il gruppo dirigente comunista aveva manifestato più di una perplessità; soprattutto per il rischio al quale si esponeva Li Causi. Alla fine si era deciso comunque di accogliere la richiesta di Pantaleone. Si era quindi noleggiato, dalla ditta AST, un vecchio camion scoperto, fissando la partenza da Caltanissetta, davanti il palazzo municipale, per la mattina del 16 settembre alle ore 8. La delegazione che avrebbe seguito il comizio di Li Causi a Villalba era composta da circa 25 militanti tra minatori, contadini e giovani, guidata dal segretario della Federazione Luigi Cardamone, da Emanuele Macaluso, Lilli Geraci ed altri.
Prima della partenza era arrivato in auto nel capoluogo Pantaleone, che preoccupato informava il gruppo nisseno sul fatto che gli uomini di don Calò, grazie anche all’aiuto del fratello arciprete, avevano girato il paese imponendo a tutti di non uscire di casa e di non partecipare al comizio. Pantaleone informava anche che gli accoliti del Vizzini disponevano di un arsenale di armi: pistole, fucili, bombe a mano, per lo più di provenienza dell’Esercito Italiano in disfatta dopo la caduta del regime fascista.
Pur consapevoli del pericolo, il gruppo dei comunisti nisseni partiva ugualmente; per di più disarmato. Giunto a Villalba trovava le strade deserte e le porte sbarrate, accolto solo dai fratelli Michele e Angelo Pantaleone e da uno sparuto gruppo di militanti. Consumata una magra colazione – un gruppo in casa Pantaleone, un altro in casa Marsala – ci si approssimava verso la piazza, dove era stato parcheggiato il camion e predisposto un piano rialzato per gli oratori. L’uscio della vicina Chiesa Madre era aperto e vi sostava un gruppo di persone, tra i quali si riconosceva anche il noto Beniamino Farina. Calogero Vizzini invece si era collocato davanti al palco, proprio in mezzo alla delegazione nissena.
Intorno alle 18 aveva inizio il comizio, introdotto dal giovanissimo Macaluso, seguito da Cardamone, quindi la parola a Li Causi.
Finché gli interventi si erano limitati ai temi di politica nazionale e regionale tutto era rimasto calmo e l’uditorio esiguo. Quando Li Causi aveva iniziato a parlare delle durissime condizioni dei lavoratori della terra, la gente – come attratta da una calamita – si era riversata via via in piazza. La potenza oratoria del capo dei comunisti siciliani era inarrestabile e ad un certo punto Vizzini aveva gridato «Non è vero! ». Lilli Geraci, a lui vicino, aveva ribattuto: «Dì che cosa non è vero! », ed anche lo stesso Li Causi aveva invitato Vizzini a manifestare il proprio pensiero, ma evidentemente quello non era altro che il segnale dell’avvio della sparatoria.
Iniziava così una fitta serie di spari; soprattutto di colpi di fucili e bombe a mano. Del tutto assenti le locali forze dell’ordine.
Gli spari provenivano sia dalla parte della piazza, tra la banca e la Chiesa Madre, sia dalle strade confluenti; alle spalle dell’uditorio. La sparatoria cessava solo quando la folla era completamente defluita. Alcuni feriti giacevano a terra (Immormino e Carvotta), mentre Li Causi, anch’esso ferito, veniva portato via dalla piazza (da lì a poco sarebbe stato trasferito a Palermo per un delicato intervento chirurgico).
Alcuni testimoni avevano visto lo stesso Vizzini, con la pistola in mano, chinarsi e sparare sotto il camion, dove si era nascosto un ragazzo. Si sarebbe saputo in seguito che il giovane era rimasto seriamente ferito alla schiena.
Come è noto le indagini furono lunghe e lacunose, ma, per la prima volta – grazie alla pressione del gruppo parlamentare comunista – emersero gli intrecci mafia-politica.
Il resto della storia è sin troppo nota, ricostruita magistralmente da Luigi Lumia nel secondo volume di «Villalba, storia e memoria».
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