La Grotta del Cavallo a Sabucina
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Un giorno un pastorello, perduta una pecora e messosi a cercarla per la strada di Sabucina, un paesello della provincia di Caltanissetta, dopo lungo cammino si trovò tra le tenebre della notte. Non potendosi ridurre al suo abituro per le vie impervie e per il buio fittissimo di quella sera, pensò di cercar ricovero in una di quelle grotte che abbondano sul monte Sabucina dalla parte di mezzogiorno dov’è appunto, la grotta del Cavallo.
Stanco del lavoro della giornata e del lungo cammino, il pastorello subito si addormentò. Quand’ecco, verso la mezzanotte, viene svegliato da un dolcissimo suono accompagnato da canti e danze e da uno straordinario vociar di gente. Aprì gli occhi e si vide abbagliare da uno splendore mai veduto. Quella grotta in cui egli si era ridotto per riposare si era potentemente ingrandita, e una magnifica fiera stava per svolgersi in essa; una fiera in cui fra tutta la merce e frutta di ogni genere e di ogni regione, primeggiavano le arance.
Il pastorello allora, alzatosi, si pose a camminare su o giù attraverso quello spettacolo straordinario, e credeva di sognare, tanto la cosa gli pareva insolita. A un certo punto, invitato dai negoziatori a comprare, egli si scusò dicendo di non avere abbastanza denaro, ma solo pochi spiccioli. Ma quelli gli si attaccarono alle costole e con sorrisi e dolci parole lo incoraggiarono alla compera, dicendo che di poco si sarebbero accontentati. Onde egli preferì, non potendo di meglio, comprare poche arance e riporle nel saccone che portava addosso. Questo però gli fu riempito dalla munificenza di quegli esseri strani e infinitamente a lui benevoli.
Fatto il negozio, si partì che era già l’alba. Nell’uscire dalla grotta ebbe la grande gioia di vedersi dinnazi la pecorella che la sera avanti avea, con sua gran pena, smarrita. E allora, tutto contento, postosi a cacciare il poco Gregge, si allontanò da quel luogo. Tornato a casa, non curandosi di gustare neppure un’arancia, depose il saccone che pesava enormemente e gli aveva indolenzita la spalla.
Il padre del pastorello, avvicinatosi al saccone deposto dal figlio all’angolo della sua casetta, vedute le arance, volle gustarne una, ma nel voler togliere la buccia, si accorse, con grande stupore che quella era tutto un pezzo d’oro. Quel fortunato chiamò, allora, il figlio, dopo aver nascosto le arance, e domandò dove ne avesse fatto l’acquisto. Il padre dopo aver attentamente ascoltato, la notte seguente, andò nella località indicata, ma ebbe un bell’aspettare, poichè la fiera non ebbe luogo, e il poveraccio torbò, l’indomani, a casa, con le pive nel sacco.
Ma, se il nostro buon uomo aveva portato pive nel suo sacco, il suo ben avventurato figliolo aveva portato nel suo saccone arance d’oro, il che vuol dire una ricchezza non indifferente, con la quale visse insieme alla sua famiglia circondato dal più grande rispetto e dalla stima dei suoi concittadini, che lo videro ben presto fregiato di molte croci e molte commende.
Essi poi lo vollero eleggere con un commovente plebiscito, sindaco del paese, e presidente della Congregazione di carità, e deputato di molte Opere Pie, e non so di cos’altro.
Di guisa che le arance d’oro cambiarono in oro la casa e la fortuna ed anche la testa di quel povero pastore; che, se prima era inteso col nome di ziu Peppi u picuraru, imbecille di quattro cotte, ora egli era diventato d’un colpo, in grazia delle arance d’oro, il signor don Giuseppe Vattalone, cavaliere e commendatore, ecc. ecc., il più interessante e sapiente personaggio del suo paese.
Questa leggenda è tratta da
da Leggende di Sicilia di Giuseppe Foti
Ogni riferimento a cose e persone è puramente casuale, vero?
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nel libro le leggende di Milocca il prof.Arturo Petix scrive una leggenda analoga dal titolo La fiera di mezzanotte a Musa. Ora mi chiedo:possibile che la stessa cosa sia successa in due paesi cosi vicini?
O sono solo racconti
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sembra una storia attuale di milena il mondo non cambia mai
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