di Nello Pogliese

Palermo, cade Borsellino
La stagione delle stragi, culminata nel massacro del giudice Borsellino e della sua scorta, avvenuta proprio nel luglio di diciotto anni fa, occupa giustamente l’attenzione dell’opinione pubblica e non solo nazionale.
Pare che, a mezzo rivelazioni di nuovi collaboranti e marce indietro, eseguite da altri pentiti, non nuovi a essere sentiti dagli inquirenti stia per portare a clamorosi sviluppi.
Tutto tenendo conto del fattore tempo, in un periodo lungo quasi vent’anni molte cose possono accadere e sono accadute ,specie se il punto importante delle indagini si fonda sulle dichiarazioni testimoniali, il vero è che l’affievolirsi, se non lo sfilacciarsi, del filo della memoria è il peggiore nemico nell’opera di ricerca della verità.
Lo si è visto con la strage di Portella della Ginestra, praticamente rimasta senza dichiarazione di colpevolezza, con la strage di Ustica e con quella della stazione di Bologna. E l’elenco potrebbe continuare. Se si focalizza l’attenzione sulla morte di Paolo Borsellino, purtroppo il filo della memoria è stato assai debole in questi lunghi anni, a tutti i livelli. »
Pure avendo riguardo alla pubblica opinione che al riguardo ha mostrato quantomeno indifferenza.
Ricordiamo la scarsa partecipazione dei cittadini, e spesso di esponenti delle Istituzioni, alle celebrazioni annuali nel giorno dell’anniversario.

Capaci, cade Falcone
Oggi, per l’impegno di magistrati coraggiosi, del tutto insensibili a trascorse affrettate indagini, a verità processuali per ciò stesso talvolta solo apparenti, a collaboranti inaffidabili, sembra che qualcosa di definitivo si stia muovendo sul fronte della ricerca della verità. Su tutto aleggia però una certezza, e tutto questo possiamo affermarlo in forza »dell’esperienza. Quella della distinzione assoluta che va fatta fra esecuzione di un delitto, programmazione dello stesso, finalità che si vogliono perseguire.
La mafia, intesa in senso militare, cioè il gruppo di coloro che eseguono il maneggio delle bombe rappresenta solo l’ultimo anello di una catena, ben lunga il cui bandolo va tenuto fra le mani di persone in apparenza lontane anni luce da una mezza dozzina di criminali comuni, competenti nell’azionare dinamite e pistole. Interesse primario della mafia, intesa in senso classico, è quello di nascondere le proprie attività e impedire che le stesse costituiscano il punto focale delle indagini a cura degli inquirenti. Ogni strage eccellente importa ineluttabilmente un giro di vite, se non leggi nuove e restrittive; e questo i mafiosi lo sanno. Senza dire che le organizzazioni criminali considerano tutti gli inquirenti quali nemici, essendo consapevoli che l’uccisione di uno determina che altri, magari con più mezzi, sostituiscano il defunto.
Altra cosa è tutto quanto riguarda i mandanti, talvolta sotto le spoglie di persone insospettabili, il così detto terzo livello. In quel caso gli interessi si sposano completamente ed anzi perseguono il risultato finale dell’eliminazione di Tizio e non di Caio. La malavita mafiosa o brigatista non avrebbe potuto fare quello che ha fatto, nel caso Moro ad esempio o nella strage di via D’Amelio, senza una sponda di appoggio, posta fra gli apparati istituzionali. Che per comodità di linguaggio, chiamiamo “servizi deviati”.
Quattro scalzacani, spesso analfabeti, sanguinari quanto chiusi di mente, non sono in grado, senza che altri offra la propria regia, di conoscere orari, itinerari, spostamenti, destinazioni delle persone di eliminare, che certo si muovono, a loro volta, con una certa cautela.
Il problema, alla fine, resta politico, di alta politica, E’ su quel punto che va indagato, come sembra che in questi giorni seriamente si faccia, Sempre che il “generale tempo” non dica che si sia fatto tardi.
Nello Pogliese
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Read Full Post »