
- LA SICILIA / 28.10.2009

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MILENA. E’ una ricostruzione precisa e dettagliata quella che i giudici del Tribunale nisseno hanno svolto al momento di scrivere le motivazioni della sentenza con la quale hanno condannato, nel luglio scorso, sei persone ritenute affiliate alla consorteria mafiosa di Milena e arrestate dai Carabinieri su mandato della Direzione Distrettuale Antimafia, alla fine del 2005, nel blitz “Uragano”.
I giudici del Tribunale (presidente Giacomo Montalbano, a latere Francesco Lauricella e Carlo De Marchi), nelle 200 pagine di motivazione, sembrano non nutrire dubbi sull’esistenza di una famiglia mafiosa a Milena e individuano i principali esponenti in Gioacchino Cammarata (condannato a 20 anni di reclusione), Giuseppe Cammarata (condanna a 17 anni), Salvatore Amico e Giuseppe Tona (16 anni ciascuno).
Per i giudici sono chiare le responsabilità di costoro, in quanto elementi di spicco del clan guidato dal vecchio capomafia Francesco Randazzo (giudicato con il rito abbreviato nel processo parallelo) e ritenuti responsabili anche delle estorsioni all’imprenditore Paolino Diliberto, parte civile nel processo con l’avvocato Sandro Valenza.
Il Tribunale ricostruisce attentamente il tentativo di estorsione, iniziato con le famigerate lettere di minaccia recanti frasi del tipo «Il vento che hai sentito l’altra sera», un riferimento ad alcuni danneggiamenti subiti dal Diliberto.
Lo stesso Gioacchino Cammarata, parlando con Diliberto, gli avrebbe detto «Ci hai parlato con quello?». «Quello», secondo gli inquirenti, sarebbe Francesco Randazzo, ritenuto il capomafia di Milena. Diliberto avrebbe dovuto contattare Randazzo per avere chiarimenti riguardo all’eventuale quota estorsiva da pagare. Lo stesso Randazzo si sarebbe lasciato andare a un’ironia alquanto “sinistra”, dicendo a Diliberto, durante una conversazione al bar: «Ti devo cercare un cane da guardia buono».