Il 24 giugno del 1935 avevo portato la mia giovane moglie in Milena. Abitavamo nella casa datami in locazione non ancora rifinita da un fratello (Carmelo) di Padre (Salvatore) Tona. Avevo reso l’abitazione accogliente: vi avevo fatto installare una vasca sospesa per la doccia ed ogni altro impianto di igienica utilità ancora poco diffuso in paese.
Per cucinare ci servimmo all’inizio di un fornello a petrolio “primus” , e per l’illuminazione di un lume a petrolio, che accendevamo quando proprio non ci si vedeva più; ma eravamo tanto felici pure intrattenendoci al buio: era tutto così bello, soli con la nostra felicità, fiduciosi in un avvenire d’amore arricchito da una prole che immaginavamo numerosa…

Fin dai primi mesi riuscivo a rendermi conto della situazione della sicurezza pubblica, prendendo conoscenza di quegli elementi da seguire con oculatezza, assumendo cognizione delle persone pregiudicate e socialmente pericolose: vi erano ammoniti e vigilati e confinati comuni all’isola di Ustica.
Eravamo nella seconda metà del mese di marzo e ricorreva giusto la festa del Patrono San Giuseppe. Fin dalla mattina il centro brulicava di gente: tanti contadini vestiti a festa; in molti, tra cui numerosi ragazzini infagottati in antiquati costumi che sciamavano vociando, seguivano per le vie affollate una banda musicale che andava in giro per l’abitato. Il tempo era primaverile e tutto lasciava supporre che la festa sarebbe riuscita.
Mi trovai in piazza in tenuta ordinaria tenendo la sciabola al fianco come per diporto, senza darne palese impressione giravo quietamente lo sguardo un po’ dovunque nel passeggiare discutendo con il dottore Sapienza che doveva rincasare. Ad un tratto la mia attenzione venne richiamata dall’atteggiamento equivoco di due noti pregiudicati: del pastore Ingrascì individuo dalla poco rassicurante attività, e dal capraio Cammarata, mutilato di un braccio, sottoposto alla libertà vigilata; entrambi non dediti ad uno stabile lavoro proficuo. Appena si accorsero della mia presenza, si affrettarono a separarsi con evidenti segni di intesa, andando per vie diverse.
A distanza di un paio di mesi si presentava nel mio ufficio un agiato agricoltore del villaggio San Miceli, R. Mattina per denunziare un furto di grano di rilevante entità. All’altezza del pavimento era stata praticata una vasta breccia attraverso cui era stato evidentemente facile sottrarre il grano. Il locale contiguo risultò di pertinenza del Cammarata; e mi ritornò in mente la scena a cui avevo assistito qualche giorno prima. Opportunamente interrogato, ammetteva di avere partecipato al furto perpetrato con la complicità del pastore Ingrascì. Vennero arrestati e, dopo regolare processo, condannati.
Scontata la pena loro inflitta i due seguirono strade diverse: mentre il Cammarata si ravvedeva, lo Ingrascì non disarmò, tanto da andare a finire all’ergastolo.
non mi sono perduta una puntata di storie e devo dire grazie per quanto state facendo per raccontare lavera storia del nostro paese. Ciao
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