Il 24 giugno del 1935 avevo portato la mia giovane moglie in Milena. Abitavamo nella casa datami in locazione non ancora rifinita da un fratello (Carmelo) di Padre (Salvatore) Tona. Avevo reso l’abitazione accogliente: vi avevo fatto installare una vasca sospesa per la doccia ed ogni altro impianto di igienica utilità ancora poco diffuso in paese.
Per cucinare ci servimmo all’inizio di un fornello a petrolio “primus” , e per l’illuminazione di un lume a petrolio, che accendevamo quando proprio non ci si vedeva più; ma eravamo tanto felici pure intrattenendoci al buio: era tutto così bello, soli con la nostra felicità, fiduciosi in un avvenire d’amore arricchito da una prole che immaginavamo numerosa…

Fin dai primi mesi riuscivo a rendermi conto della situazione della sicurezza pubblica, prendendo conoscenza di quegli elementi da seguire con oculatezza, assumendo cognizione delle persone pregiudicate e socialmente pericolose: vi erano ammoniti e vigilati e confinati comuni all’isola di Ustica.
Eravamo nella seconda metà del mese di marzo e ricorreva giusto la festa del Patrono San Giuseppe. Fin dalla mattina il centro brulicava di gente: tanti contadini vestiti a festa; in molti, tra cui numerosi ragazzini infagottati in antiquati costumi che sciamavano vociando, seguivano per le vie affollate una banda musicale che andava in giro per l’abitato. Il tempo era primaverile e tutto lasciava supporre che la festa sarebbe riuscita.