E’ durata quasi tre ore la requisitoria del sostituto procuratore Antonino Patti, al termine della quale il magistrato ha chiesto condanne per poco meno di 70 anni di carcere complessivi nei confronti dei 12 imputati del processo “Uragano”, ritenuti affiliati alla cosca mafiosa di Milena e responsabili di estorsioni e danneggiamenti nella prima metà degli anni 2000.
Che dietro tutte le attività criminali commesse in quel periodo ci fosse Cosa Nostra, il pm Patti ha ben pochi dubbi e per tal motivo ha chiesto ai giudici del Tribunale (presidente Giacomo Montalbano, a latere Francesco Lauricella e Carlo De Marchi) di condannare Gioacchino Cammarata a 18 anni di reclusione e al pagamento di una multa di 1600 euro, Giuseppe Cammarata a 14 anni e 9 mesi (1200 euro di multa), Giuseppe Tona a 10 anni e 6 mesi (800 euro di multa), Salvatore Amico a 9 anni e 4 mesi (700 euro di multa), Calogero Amico a 6 anni e 6 mesi (multa di 600 euro), Angelo Cassenti (imputato solo per associazione mafiosa) a 4 anni e un mese. Più lieve, un anno e 10 mesi più 400 euro di multa, la richiesta per Carmelo Sorce, l’uomo che inizialmente fu coinvolto nei tentativi di estorsioni all’imprenditore Paolino Diliberto (con il suo computer furono scritte le lettere intimidatorie indirizzare all’imprenditore Paolino Diliberto) e che poi decise di tirarsi fuori rendendo dichiarazioni all’autorità giudiziaria.
Il dott. Patti ha anche chiesto le assoluzioni di Calogero Falcone, Carmelo Michele Falletta, Giuseppe Falletta e Damiano Farruggio, ritenuti totalmente estranei alle attività della cosca mafiosa di Milena.
Secondo il magistrato della Procura a tirare le redini della cosca non sarebbe stato il solo Francesco Randazzo: «Sappiamo che il capomafia a Milena è Francesco Randazzo (già giudicato nel processo parallelo con il rito abbreviato), ma ci sono altre persone con ruoli di vertice come i fratelli Gioacchino e Giuseppe Cammarata».
Secondo l’accusa proprio i due fratelli Cammarata, ritenuti personaggio di spicco della famiglia mafiosa di Milena, avrebbero ordito le estorsioni
all’imprenditore Paolino Diliberto (parte civile nel processo), il quale ricevette diverse intimidazioni, comprese lettere anonime e colpi di pistola contro la sua auto. I Cammarata si sarebbero anche resi protagonisti di un sequestro di persona a danno di un giovane di Milena. Una vicenda che scaturì dopo che quest’ultimo avrebbe offeso il padre di due persone coinvolte nel blitz “Uragano” (e processate nel processo parallelo). Allora i due Cammarata assieme ai figli dell’ingiuriato avrebbero costretto il giovane a seguirli in auto fino all’abitazione di questi ultimi per costringere il giovane a chiedere scusa all’anziano genitore. «Un’attività criminale che è stata messa in atto in un modo così selvaggio e spregiudicato da fare rabbrividire l’intera comunità di Milena – ha tuonato il dott. Patti durante la sua requisitoria – una situazione che raggiunse dei picchi incredibili e che forse, a un certo punto, è anche sfuggita di mano agli stessi Cammarata.
I fratelli Amico e gli altri affiliati, compreso lo stesso Randazzo, la cui responsabilità è evidente, sono stati trascinati in questo vortice criminale».
A chiedere il riconoscimento della responsabilità degli imputati e a presentare richieste risarcitorie sono stati gli avvocati di parte civile Sandro Valenza (legale di Diliberto), Salvatore Caradonna (che assiste la Federazione Antiracket) e Antonio Campione, difensore del Comune di Milena. Quest’ultimo ha chiesto un risarcimento di 500 mila euro per il danno arrecato da Cosa Nostra all’immagine del paese e una provvisionale di 100 mila euro.
Dalla prossima udienza inizieranno le arringhe degli avvocati difensori Danilo Tipo, Antonio Impellizzeri, Maria Vizzini, Piero Sorce, Giacomo Butera, Maria Giambra, Emanuele Limuti, Adriana Salerno, Claudio Testa e Vania Giamporcaro.
La Sicilia 23/06/09
Che sia da monito alle nuove generazioni della nostra Milena, che possano veramente lasciarsi alle spalle idee obsolete e comportamenti criminali efferati per aprire gli orizzonti alla cultura perorando ogni giorno la causa della legalità.
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Certamente oggi le famiglie di questi inquisiti, in parte detenuti, vivono nell’angoscia però non bisogna dimenticare chi è stato vittima di estorsioni o tentate estorsioni, di vessazioni di ogni genere, di lettere minatorie con minacce per i propri cari e di chi ha perso, magari per circostanze indirette, qualche congiunto.
No, non bisogna dimenticare, e soprattutto non bisogna capovolgere i fattori degli eventi.
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